Salvatore Marchesi
(Parma, 1852 – 1926)

Prime note (Coro della chiesa di San Giovanni Evangelista)
1885 – 1886 circa, olio su tela

Con questa nuova opera rimaniamo ancora nel quadrilatero monumentale occupato dal centro religioso della nostra città: dopo la processione devozionale e la cripta del Duomo, entriamo nel ‘coro’ della chiesa di S. Giovanni Evangelista, l’ambiente, collocato nell’abside, dietro l’altare maggiore.
Il dipinto è opera di Salvatore Marchesi, realizzata prima del trasferimento dell’artista a Palermo. Si tratta di una ‘replica’ (opere realizzate dagli stessi artisti nel caso di un soggetto particolarmente apprezzato) fedele all’originale Prime note, esposto a Torino nel 1884 e acquistato dal Museo Civico Revoltella di Trieste.

Nato a Parma il 2 febbraio 1852, Salvatore Marchesi crebbe in una famiglia di artisti: suo padre Napoleone era un calligrafo, mentre suo zio paterno, Luigi, era un pittore affermato e professore di Paesaggio presso l’Accademia delle Belle arti di Parma. Fu dunque un percorso naturale per lui l’iscrizione all’Accademia, dove fu allievo di Guido Carmignani.
Nel 1870, a 18 anni, partecipò alla Prima Esposizione Nazionale di Belle Arti tenutasi a Parma. A questa seguì una lunga serie di mostre, nelle quali si guadagnò i favori della critica. Contemporaneamente alla carriera artistica, intraprese la carriera di insegnante che lo porto, nel 1886, a trasfersi a Palermo quale professore di Prospettiva ed Elementi di Architettura presso il Regio Istituto d’arte. Lì rimase trentasei anni, che coincisero con la stagione più feconda della sua vita artistica e accademica, tant’è che, nonostante le origini, egli è ancora oggi annoverato tra i più importanti pittori siciliani dell’Ottocento. Nel 1922, rientrò a Parma. Pittore instancabile, morì il 27 marzo 1926, dopo aver presentato i lavori della sua maturità in una mostra tenutasi l’anno prima a Parma.
Già dagli anni ’70 aveva abbandonato la pittura di ‘paesaggio’ prediligendo le ‘scene di interni’; significativa a questo proposito, fu l’opera di suo zio Luigi, che già aveva rappresentato magistralmente gli interni delle chiese più importanti della città. Le vedute predilette da Marchesi diventano gli interni delle chiese, a Parma, in particolare, la chiesa di San Giovanni Evangelista, alla quale dedicò molte opere.

Lo sfondo del dipinto è interamente occupato dal coro ligneo, commissionato, nel 1512, dai monaci benedettini a Marcantonio Zucchi, maestro di prospettiva, di intaglio e architetto.
Quando Zucchi morì, nel 1531, erano stati eseguiti 45 stalli; il completamento dell’opera venne affidato ai fratelli Testa che portarono a compimento l’opera nel 1538. Nel 1587, quando l’abside fu ampliato, il coro venne trasportato nel luogo attuale.

Il coro è composto da 69 stalli, 41 superiori e 28 inferiori realizzati in legno di noce stagionato, ad eccezione dei gradoni e degli inginocchiatoi, per i quali fu impiegato legno di quercia, di castagno o di pioppo. Per le splendide tarsie dei pannelli postergali superiori e inferiori e per le lunette, vennero utilizzati «lignami se convien a tal arte», solitamente noce, pero, pioppo, abete, moro, cipresso, olmo e quercia.
L’intarsio o tarsia lignea è un tipo di decorazione che si realizza fissando su un supporto ligneo sottili lamine di legni pregiati; inizialmente disegnate su un cartone, le raffigurazioni venivano successivamente ritagliate lungo i contorni per ottenere le sagome: queste venivano infine sovrapposte alle sottili lamine lignee, che mediante arnesi affilatissimi venivano a loro volta ritagliate. L’intarsiatore procedeva quindi ad incollare le sagome lignee così ottenute su una superficie di legno in modo da realizzare il disegno complessivo. I diversi colori dipendevano dalle tinte proprie dei vare legnami, ma talvolta si ricorreva alla tintura dei pezzi bollendoli con sostanze coloranti, mentre i toni più scuri erano di solito ottenuti tramite una brunitura con ferri roventi, effettuata dopo la posa in opera. Durante il Rinascimento, i soggetti rappresentati erano spesso vedute cittadine o composizioni di nature morte con oggetti e motivi fitomorfi.

Il cornicione ligneo del coro è intagliato con conchiglie alternate ad aragoste, emblemi di purificazione e rinascita, tra girali di foglie.

I 41 scanni superiori sono archivoltati e ornati; nelle lunette, a tarsia, sono visibili strumenti musicali, oggetti liturgici, cesti di frutta, spartiti, rami d’ulivo. I pannelli postergali, riprendendo la tradizione padana, presentano vedute cittadine incorniciate da un arco a tutto sesto; tra queste si riconoscono la Chiesa della Steccata, uno dei chiostri dell’Abbazia di San Giovanni Evangelista, l’abside e il campanile della Cattedrale, l’Ospedale Vecchio, il Castello di Torrechiara. Altri pannelli presentano vedute che fanno riferimento a Roma, in particolare una veduta di Castel Sant’Angelo.
Gli scanni sono intervallati da capitelli e lesene intagliate a motivi fitomorfi che costituiscono l’elemento di separazione tra uno scanno e l’altro.

Lo scanno centrale, più ampio, presenta nella lunetta una decorazione a tarsia in cui è raffigurata la testa di San Giovanni Evangelista entro cornice tonda e sotto la data di conclusione dell’opera: MDXXXVIII.

Nei pannelli intarsiati dei 28 stalli inferiori, privi di inginocchiatoio, lo studio della prospettiva raggiunge altissimi livelli: sportelli semiaperti lasciano intravedere i meccanismi di un orologio; in altri sono rappresentati gli strumenti dell’intagliatore, strumenti musicali e scientifici, come l’astrolabio.

Marchesi, insegnante di Prospettiva, la utilizza per dare profondità all’opera: le linee del pavimento si intersecano a quadroni aiutando a creare l’ambiente che fa da sfondo alla scena che vi si svolge.

Al centro dell’opera un giovane chierico è seduto e intento a suonare il violoncello per accompagnare il canto della monaca.
Salvatore Marchesi amava cogliere la quotidianità di questi luoghi al di fuori delle cerimonie sacre. I personaggi rappresentati, sagrestani, sacerdoti impegnati nella lettura, chierichetti a lezione di catechismo o, come in questo caso, impegnati negli esercizi di musica e canto. Una quotidianità accessibile solo all’artista che, traducendola in pittura, la trasformava in poesia.

Tra i gradoni del coro, in corrispondenza dello scanno centrale, un’altra monaca sembra assorta nell’ascolto del canto. La sua figura è illuminata da un fascio di luce, che il poeta Camillo Boito, rimastone affascinato, definì “l’abbacinante colpo di sole”, che mette in risalto anche alcune parti del pregiato coro ligneo. La figura di questa monaca, rapita dalla musica del violoncello, ci conduce in una dimensione spirituale che va al di là del quadro.

Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa