Ritratto di Ranuccio I Farnese
(olio su tela)

Ritratto di Margherita Aldobrandini
(olio su tela)

I due dipinti che presentiamo oggi, i ritratti del Duca Ranuccio I Farnese e della moglie Margherita Aldobrandini, sono stati il primo acquisto sul mercato antiquario di Fondazione Cariparma nel 1992; hanno infatti i numeri di inventario 1 e 2.
Essi rappresentano un’importante testimonianza pittorica nell’ambito dell’iconografia farnesiana. Le dimensioni delle tele, l’invenzione compositiva e la posa dei personaggi, rivolti l’uno verso l’altro, non lasciano dubbi sull’intento che ebbe il committente e l’ignoto autore di concepire un pendant.
Nel vasto panorama della ritrattistica farnesiana è uno dei rari esempi di ritratti di coppia giunti fino ai nostri giorni; attraverso la lettura degli inventari sappiamo che abbondano i dipinti dedicati a un soggetto preciso, sia esso il duca o la duchessa piuttosto che un esponente di spicco della famiglia. Inoltre è complicato ricomporre le trame della ritrattistica ducale seicentesca, rintracciare le maestranze che l’hanno prodotta, ma è altrettanto vero che non si trova menzione di ritratti sponsali. Per di più i dipinti non sono stati certo eseguiti all’epoca delle nozze della coppia ducale.

Ranuccio (1569-1622), figlio del duca Alessandro Farnese e di Maria d’Aviz di Portogallo succede nel 1592 al padre e nel 1600, dopo laboriose trattative, sposa la dodicenne nipote del papa Clemente VIII, Margherita Aldobrandini (1588-1646). All’epoca del matrimonio il duca aveva quasi trent’anni e possiamo immaginare il suo aspetto grazie ai ritratti conservati nella Galleria Nazionale; mentre decisamente più complicato è risalire alle fattezze della giovanissima sposa, perché abbiamo pochissimi dipinti che la ritraggono. Alla luce di queste considerazioni i due ritratti acquisiscono importanza proprio sotto il profilo documentario in quanto ci restituiscono un’immagine della coppia ducale diversa da quella legata alle testimonianze pittoriche conosciute. Osservando i dipinti, ciò che colpisce l’occhio dell’osservatore è l’insistenza con cui l’anonimo artista si sofferma a descrivere le vesti dei due personaggi, che sono raffinatissime nei tessuti e impreziosite da dettagli talmente ricercati da risultare esse stesse protagoniste dell’opera. Ci meraviglia la minuzia descrittiva delle applicazioni di perle che si alternano ai ricami dorati con motivi a stella e gigli, allusivi allo stemma farnesiano, sul farsetto e sui pantaloni a palloncino di Ranuccio.

La stoffa è talmente appesantita dagli ornamenti che le strisce dei calzoncini a zucca restano rigidamente composte senza lasciare intravedere la fodera sottostante e si gonfiano tondeggianti sui fianchi. Il duca, poi, ostenta quell’armatura di foggia tardo cinquecentesca che il famoso armaiolo milanese Pompeo della Cesa aveva realizzato per suo padre Alessandro e che risulta perfettamente riconoscibile in virtù del motto VOLAT (il tempo sfugge) che compare sulla targhetta che orna la pettiera.

Appoggiato sul tavolo si nota l’elmo, il morione, su cui spicca un variopinto pennacchio.

La cosiddetta “Volat”, ageminata in bianco e oro, e non nera e oro come la dipinge il nostro artista, esiste ancora oggi ed è conservata a Napoli al Museo di Capodimonte. È probabile che l’ambizioso Ranuccio ostenti l’inconfondibile corazza appartenuta al padre con l’intento di proporsi quale erede delle gloriose imprese militari di Alessandro Farnese, che tuttavia non riuscirà mai a eguagliare. A completare l’ostentazione di virtù militare è ben evidente il Toson d’oro che pende dal prezioso collare composto da acciarini d’oro contrapposti a pietre che alludono alle pietre focaie da cui scaturiscono simboliche fiammelle.

L’insegna dell’Ordine costituita dalla pelle di ariete richiama l’impresa degli Argonauti che avevano preso il vello d’oro nella Colchide, e l’ambita onorificenza, legata al più potente ordine cavalleresco del tempo, era naturalmente conferita a una ristretta élite. Ranuccio, dopo molto travaglio riesce ad ottenerla nel 1601, per aver partecipato alla spedizione di Algeri nel vano tentativo di farsi riconoscere diritti di discendenza dalla casa reale portoghese cui apparteneva la madre Maria d’Aviz.

In perfetta sintonia con il marito, la duchessa Margherita si presenta racchiusa in un sontuoso abito che esalta appieno il suo ruolo e la cui foggia risente della moda spagnola in auge. Il volto appesantito dall’età e dalla pinguedine, isolato dall’ampia gorgiera plissettata e rifinita da trine, appare ingentilito da orecchini di perle scaramazze, mentre l’acconciatura risulta impreziosita da un diadema d’oro con pietre alternate a fiori di smalto.

Il corsetto abbottonato sul davanti ha la punta arrotondata e allungata sotto il giro vita e spicca sulla tela per il fastoso ricamo d’oro e perle che risalta sulla seta bianca.

La veste in pesante tessuto nero, rifinita da rosette gemmate, è decorata da passamanerie d’oro e da puntali con pietre, ha le maniche molto ampie e lunghe, tagliate sul davanti a formare lo strascico.

Come ancora in voga durante il primo trentennio del Seicento, il verdugado contribuisce a dare volume alla gonna con la vita segnata alta in modo da conferire monumentalità alla figura. Margherita ostenta anche una vistosa collana d’oro ornata da perle scaramazze di gusto ormai barocco.

La duchessa tiene in mano un ventaglio, consueto attributo che connota, insieme agli impalpabili fazzoletti di pizzo, l’alto rango della dama. Come spesso accade, lo possiamo verificare osservando esempi di ritratti femminili, il ventaglio pende da una preziosa catena che le dame legavano intorno ai fianchi e che consentiva loro di portare con sé l’accessorio senza doverlo per forza tenere sempre in mano.

La puntualità con la quale l’anonimo artista descrive la sontuosità dell’abbigliamento dei duchi, oltre a offrirci un preciso spaccato della storia del costume, ci aiuta a circoscrivere cronologicamente e con una certa precisione il giro d’anni in cui potrebbero essere stati eseguiti i dipinti. Confrontando i due ritratti possiamo notare che, malgrado i profondi restauri che purtroppo ne hanno compromesso l’uniformità di lettura, nel volto di Margherita il pittore si sofferma maggiormente nella ricerca espressiva, indagine che suggerisce l’ipotesi che i ritratti siano stati eseguiti dopo la morte di Ranuccio avvenuta nel 1622.

Il grande formato dei due dipinti e la composizione secondo la solenne tipologia del ritratto di stato, destinato a restituire l’immagine ufficiale degli effigiati, fa supporre che questi siano stati eseguiti per una circostanza particolare, rispondente a precise esigenze politiche, e che per questo richiedeva l’ostentazione della magnificenza della dinastia farnesiana. L’avvenimento politico più prestigioso di quegli anni è il matrimonio di Odoardo Farnese, figlio di Ranuccio e Margherita, con Margherita de’ Medici, che si celebra con grande sfarzo nel 1628. I preliminari piuttosto complessi e dagli incerti esiti avevano già portato Ranuccio alla realizzazione di un’impresa artistica di grande impatto, quale la costruzione, all’interno del Palazzo della Pilotta, del Teatro Farnese, imponente e modernissima macchina teatrale riservata alla corte, ultimata nel giro di un anno nel 1618, per accogliere Cosimo II de’ Medici, padre della futura sposa, in una sorta di grandiosa autocelebrazione. Il raggiungimento delle tanto auspicate nozze avrebbe certo potuto indurre Margherita Aldobrandini a commissionare dei ritratti che rappresentassero degnamente la famiglia Farnese. Questo ultimo importante avvenimento per la storia della casata, il matrimonio tra Odoardo e Margherita di Toscana, è stato raccontato nella mostra Il dovere della festa attraverso un video che ricostruisce la sequenza degli eventi organizzati che trovarono il loro apice nell’inaugurazione del Teatro Farnese, a fine dicembre 1628 con l’opera torneo Mercurio e Marte, scritta da Achillini e musicata da Monteverdi che potete rivedere sul canale Youtube di Fondazione Cariparma (guarda il video)

Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa