Amos Nattini
(Genova, 1892 – Parma, 1985)

Inferno, Canto XV.

Oggi il MiBACT ha proposto di dedicare la giornata al sommo Poeta” con l’iniziativa DantedìLa scelta del 25 marzo è motivata con il fatto che gli studiosi hanno ipotizzato questa come la data nella quale Dante inizia il suo viaggio letterario nell’Inferno.
Egli è stato più volte commemorato, e non solo in Italia, con una serie di eventi e soprattutto riedizioni volte a celebrare la sua opera che tutt’oggi incanta e meraviglia.
Uno dei tributi più rilevanti è l’edizione monumentale della Divina Commedia del 1921 voluta dall’avvocato Rino Valdameri, che l’anno precedente aveva fondato la Casa Editrice di Dante allo scopo di finanziare il meraviglioso progetto tipografico di Amos Nattini; l’artista illustrò ogni Canto con un acquerello. Successivamente i disegni furono litografati in tavole di 82 X 67 cm.
Il tempo impiegato per la realizzazione di questo imponente progetto fu di 20 anni e 7 mesi.
Nella creazione iconografica, Nattini seguì scrupolosamente la descrizione dei canti danteschi con un’evoluzione che accompagnò la sua maturazione artistica nel tempo.

Per l’Inferno impiegò 10 anni, ed è comprensibile come questo ampio lasso temporale porti il modificarsi del suo approccio con le anime dei condannati. Nella tavola che accompagna il XV Canto dell’Inferno, Nattini ha illustrato il terzo ed ultimo girone del VII cerchio, dove sono condannati i sodomiti e i violenti contro Dio in quanto peccatori contro natura. L’artista rimane fedele alla descrizione che Dante da di questo luogo infernale nel Poema. La loro punizione consiste in un continuo moto sotto una pioggia di fuoco. Quella delle fiamme è una pena che si rifà alla Genesi, la quale riporta come sulla città di Sodoma Dio inviò una pioggia di fuoco e zolfo che incenerì l’intera città con i suoi abitanti. Non dimentichiamo anche che era d’uso nel Medioevo la pena del rogo per condannare i reati contro la divinità.

Dante e Virgilio procedono lungo uno degli argini del Flegetonte, che attraversa il sabbione infuocato mentre il fumo che si leva dal fiume di sangue li protegge dalla pioggia di fiamme. 

Nattini ci riporta un Virgilio spettrale. Coperto con un drappo bianco dello stesso colore del viso, delle mani e dei piedi. Non è un corpo, bensì uno spirito. Ma è un’anima estremamente vera, tridimensionale e presente. Si scorge tutta la maestria di Nattini nella resa della figura umana acquisita dai suoi studi accademici e di anatomia. Lo sguardo di Virgilio è fermo e impassibile. Non tradisce emozione. Come una madre che vigila sul figliolo per impedire che si ferisca, così Nattini ci mostra un “Duca” che attentamente veglia sul poeta affinché possa proseguire il suo viaggio fino al Paradiso. 

Il pittore ci restituisce un Dante Alighieri estremamente realistico e veritiero. Il suo è un volto “possibile”, un viso che possiamo incontrare ancora oggi. Chiaramente l’artista si rifà alla tradizione iconografica che risale a Giotto, nella Cappella del Bargello, in cui il sommo Poeta è vestito di rosso con il suo ormai caratteristico copricapo. Nattini lo rende quindi estremamente riconoscibile.
A differenza delle prime tavole, in cui gli abiti di Dante (e Virgilio) erano delle campiture piatte di colore, qui l’artista riempie lo spazio pittorico di pieni e vuoti, di luci e di ombre, trasformando il mondo ultraterreno delle anime dannate in un universo quasi tangibile e non molto distante dalla realtà quotidiana. 

Una delle anime della schiera si avvicina a Dante e gli prende la mano. Il poeta scruta quel volto con attenzione e, nonostante il suo viso sia tutto bruciato dalle fiammelle che cadono dall’alto, lo riconosce come Brunetto Latini, scrittore e uomo politico fiorentino che fu suo maestro di retorica.
Nattini ci racconta questo incontro con estrema dolcezza. Nonostante Dante collochi il suo maestro tra i dannati, non riesce a non riservare per lui un ricordo piacevole che Nattini ben rappresenta nel gesto dolce con cui il Sommo tocca il volto di Latini. Brunetto si avvinghia quasi alle mani di Dante e lo guarda fisso negli occhi ricambiato dal suo allievo che si accosta a lui. 

L’interpretazione figurativa che Amos Nattini dà dell’Inferno dantesco non è certo terrificante e spaventosa. L’artista si concentra infatti maggiormente sulla resa della figura umana che non sulle spaventose pene che i dannati dovranno patire in eterno.
Le immagini create dall’artista per illustrare questa edizione monumentale testimoniano come, nel corso dei 20 anni di lavoro, non sia mai crollata nel pittore la fiducia nelle possibilità dell’uomo di rispondere con l’arte agli orrori della guerra. 

Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa