Guido Carmignani
(1838 – 1909)

Il Giardino Ducale alla metà del secolo XVIII
1878 – 1880, olio su tela

Deliziosissimo è non meno a vedersi che a misurarsi a lenti e piacevoli passi l’ampio terrazzo, che da una parte il lungo ed elevato giro vi sorge. Tutto già verdeggia ombreggiato dalle crescenti piante e guarnito lungo il muro di spessi piedistalli che aspettano una ricca e ben concertata vicenda di statue e di sculti vasi di marmo, mentre già l’inferior suo piano comincia in più parti a rivestirsene ed a sentir tutto il favor di quello studio, che felicemente tenta a dì nostri emulare il greco scalpello e metter vita nei sassi.

Così, nel 1760, l’anziano poeta di corte Carlo Innocenzo Frugoni descrisse il rinnovato aspetto del Giardino ducale, elaborato durante il governo dei primi Borbone, secondo il progetto del giovane architetto francese Ennemond-Alexandre Petitot, giunto nel Ducato nel 1753 per volontà del Ministro Du Tillot. L’architetto, poco più che ventenne, si adoperò per intervenire sull’originaria struttura farnesiana ormai in rovina voluta dal duca Ottavio Farnese nella metà del XVI secolo. Il giardino venne impiantato sulla cittadella ducale quattrocentesca costruita dagli Sforza, spingendosi fino alla porta di Santa Croce. Il Farnese, intorno al 1545, aveva acquistato vasti terreni nel Co’ di Ponte (od Oltretorrente), zona sgombra da edifici e più sicura. Fortificato ulteriormente con fosse esterne ancor più profonde, il terreno di riporto era stato collocato all’interno per creare robusti rampari.

Ed è proprio uno di questi rampari del Giardino ducale raffigurato in questa tela, opera del pittore parmigiano Guido Carmignani che, intorno al 1878 – 1880, sceglie di immortalare la scalinata erbosa di nord-ovest, che saliva al cosiddetto Bastione dei Fiori, affacciato sull’incrocio delle terrasses tra gli attuali viale Pasini e viale Piacenza.

Guido Carmignani, primogenito del pittore Giulio, nacque nel 1838 e dimostrò prestissimo grande talento artistico. Spinto e agevolato dal padre, già tredicenne è indicato nei documenti come “pittore paesista”. Per la sua formazione fu fondamentale il soggiorno parigino dal settembre del 1857 al luglio del 1858, che gli permise di sperimentare la modernità delle opere e di frequentare gli artisti della ‘Scuola di Barbizon’. A ventiquattro anni già insegnava pittura di paesaggio all’Accademia d’Arte di Parma ed ebbe una cattedra anche a Brera. In contatto con l’opera ed il pensiero di numerosi artisti italiani e stranieri, fu incline a sviluppare nuovi linguaggi, rimanendo tuttavia fortemente e volutamente ancorato al regolare accademismo e alla sua orgogliosa “parmigianità”.

In questo dipinto, l’artista rievoca, immaginandola, l’atmosfera settecentesca di una scena primaverile di quotidiano e spensierato passeggio di dame e di cavalieri nel giardino ducale, aperto al pubblico alla domenica.
Le figurine che animano la scena sono abbigliate à la française, e indossano costumi di varie fogge: si riconoscono le dame in vesti dalla linea ampia e morbida, nastri e fiori finti, con profonde scollature da cui emerge l’aggraziata testa adorna della parrucca chiara, anch’essa di gusto francese, e le ampie maniche a tre quarti con cascate di pizzi da cui escono le candide braccia.

Alcune indossano il cosiddetto abito “à l’Andrienne”, caratterizzato da un bustino stretto e scollato, chiuso da un davantino triangolare molto decorato detto pièce d’estomac, completato da un’ampia gonna a cupola che si apriva sul davanti mostrando il “sottanino”, mentre dalla schiena partiva uno strascico che si allargava fino a terra.

Nell’ultimo trentennio del Settecento, anche la moda, come il mobilio, diventano più ‘comodi’: la linea dell’abito femminile è meno ingombrante, meno larga e più rotondeggiante; la gonna è raccolta tramite nastri e così l’abito si accorcia, lasciando intravedere la caviglia e le scarpe di stoffa ricamata, dalla punta acuminata e tacco alto. Questa tipologia di abito à la polonaise si dimostrò più pratico e comodo in particolare per il passeggio.

Anche per gli uomini, nella seconda metà del Settecento, si diffuse un gusto più sobrio: la marsina assunse un aspetto meno frivolo, riducendo ampiezza e lunghezza, preferendo stoffe dalle tessiture più semplici, dai colori più uniformi o con motivi piccoli e anche le decorazioni si fecero più limitate.

E ancora l’artista raffigura la varia gamma di irrinunciabili accessori come il cappello elaborato, la scarsella appesa all’abito, l’ombrellino ed il ventaglio per le signore, mentre per gli uomini il bastone ed il tricorno nero.

Carmignani raffigura la rigogliosa piantumazione dei rampari e dei baluardi del giardino studiata dal Petitot; grazie alla loro fisionomia e alle differenti tonalità del verde, riconosciamo  tigli, sicomori e ippocastani specie tutte suggerite dai trattati francesi sui giardini. L’architetto riuscì a concepire un giardino, dove il gusto dei modelli del Grand Siècle, quelli cioè che venivano dalla Francia del Re Sole,  si mescolava al nuovo gusto per l’antico, goût grec, ‘gusto alla greca’: il giardino era impostato su una geometria rigorosa, in cui ogni viale corrispondeva ad una strada, ogni boschetto ad un edificio dotato di stanze e saloni, che andavano a creare palazzi vegetali in cui gli alberi erano le colonne, le siepi i muri e le chiome delle alte piante, potate ad arte, diventavano le volte, a ricordare vere e proprie architetture.

La tipologia del giardino alla francese in terra italiana veniva descritta dai viaggiatori stranieri; l’umanista spagnolo Juan Andrés nel 1785, ricordando anche la figura dello scultore Boudard, ne parla così: «Il giardino dove si trova il Palazzo del suo nome è vasto e di buon gusto, con larghi viali alberati, begli slarghi e bei punti di vista, molto adorno di gruppi, vasi e statue, moderne ma belle, del defunto Boudard, primo scultore del duca; serve da passeggio pubblico e divertimento istruttivo sulle belle arti».
Proprio Jean-Baptiste Boudard, altro artista francese al servizio della corte dal 1749, traducendo in marmo bianco di Carrara i modelli di Petitot, realizzò tutto l’apparato statuario del giardino, che si inseriva, come interpunzione scenica, nella geometria dei viali. Di questo spirito moderno erano innanzitutto espressione i vasi, presi dalla Suite de Vases di Petitot. Uno di questi è appunto il Grand vase a quattro anse a fascia, sobrio ed elegante su piedistallo à la grec, che Petitot colloca nella radura sul Bastione dei fiori e che oggi trova collocazione nel prato dietro la peschiera prospiciente l’attuale viale Pasini.

Vasi e gruppi statuari erano concepiti e collocati come arredi che dovevano incuriosire e invitare a spostarsi dal viale principale per esplorare le delizie celate nei boschetti laterali. Una ricostruzione di come doveva essere questa parte del giardini è stata proposta da Carlo Mambriani con l’aiuto tecnico di Carlo Gardini: il nostro dipinto è stato posto come sfondo dell’asse tra il vaso e il Petit group con satiro e ninfa collocato in uno dei boschetti al livello della Peschiera.
La veduta di Guido Carmignani precede di pochi anni la demolizione del Bastione dei Fiori. Infatti le giunte presiedute da Giovanni Mariotti, sindaco quasi ininterrottamente dal 1889 al 1914, favorirono l’idea di sopprimere progressivamente la cinta delle mura urbiche e malgrado i due lati del giardino, quelli verso gli attuali viale Pasini e viale Piacenza, ospitassero le antiche e piacevoli terrasses alberate, si decise comunque per la demolizione. Tra il 1897 ed il 1911 i secolari tigli e ippocastani, sotto la cui ombra si poteva passeggiare “in quota”, furono abbattuti e i terrapieni spianati. L’ultimo ad essere spianato e particolarmente impegnativo fu proprio il ‘Bastione dei Fiori’ e il suo vastissimo terrapieno, dove gli alberi dei due viali sopraelevati avevano raggiunto notevoli dimensioni proprio intorno al bel vaso del Boudard e dove al suo posto fu realizzata l’apertura di un nuovo cancello.

Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa