Goliardo Padova
(Casalmaggiore 1909, Parma 1979)

Le mura di Sabbioneta
1977, olio su tela

La città di Sabbioneta, situata nel cuore della pianura padana tra i fiumi Po e Oglio, è stata fondata intorno alla metà del ‘500 dal nobile Vespasiano Gonzaga ed elevata a ducato, nel 1577, per volontà dell’Imperatore Rodolfo II. Progettata perseguendo la perfetta commistione tra architettura, arte e impianto urbanistico secondo i modelli classici, si qualificò come la Città Ideale, simbolo del Rinascimento.
Vespasiano fece erigere palazzi, chiese e numerosi monumenti di pregio fra i quali il suggestivo Teatro all’Antica commissionato all’architetto vicentino Vincenzo Scamozzi per ospitare spettacoli e concerti riservati alla corte.
Distintivo della cittadina il possente sistema di fortificazioni che racchiudono ancora oggi la città, costituito da bastioni e terrapieni in grado di resistere agli attacchi delle artiglierie.
La cinta muraria aveva la forma di un esagono irregolare, raggiungeva l’altezza di sette metri circa rispetto al piano di campagna, con baluardi di controllo negli spigoli, ed era circondata, all’esterno, da un profondo fossato.
Le migliorie apportate al sistema difensivo continuarono anche dopo la morte del duca Vespasiano, avvenuta nel 1591, e dopo il Settecento le mura persero la loro primaria funzione militare, subirono cambi d’uso, modifiche e parziali demolizioni. Oggi, quelle mura imponenti, ancora ben conservate, costituiscono una eccezionale testimonianza dell’architettura militare del tardo Rinascimento e sono parte integrante del sito UNESCO di Mantova e Sabbioneta, dal 2008 incluso nel Patrimonio dell’Umanità.
Goliardo Padova era nato a Casalmaggiore nel 1909, lì aveva trascorso la sua infanzia e la sua giovinezza e lì fece ritorno dopo la tragica esperienza della guerra e del lager. In quegli anni ricoprì la carica di insegnante di disegno presso la locale Scuola Media, dove tempo dopo dipinse decorazioni a fresco di pannelli, e presso la Scuola Superiore di Arti e Mestieri “Giuseppe Bottoli”. Solo nel 1961 prese la decisione di abbandonare la città natia per trasferirsi a Parma con la famiglia, realtà più stimolante, a quel tempo, dal punto di vista culturale.
Casalmaggiore e Sabbioneta distano solo pochi chilometri e Padova doveva essersi recato più volte a visitare quella deliziosa cittadina di stampo rinascimentale, ammirandone l’armonia delle architetture.
Nella selezione di opere donate alla Fondazione Cariparma dalla figlia del maestro nel 2005, rientra anche il dipinto intitolato “Le mura di Sabbioneta”, un olio su tela del 1977.
Ad un primo colpo d’occhio, l’osservatore sprovveduto, abituato a ricercare nella tela il riferimento al reale, può facilmente ritrovarsi disorientato e depistato dal titolo “Le mura di Sabbioneta”. Cosa resta dell’imponente cinta muraria rinascimentale, composta da rosso laterizio, nell’opera del maestro? Solo una suggestione. È necessario abbandonare l’idea di ricercare un appiglio al “vero”, poiché la lettura si svolge su un piano che è tutt’altro che realistico.
Strati spessi di materia si depositano sulla tela; le ampie campiture mettono in evidenza l’impiego della spatola. Il colore domina la tela, se ne impossessa con forza, la sovrasta, emerge dalla stessa trasformandosi in magma denso e corposo, acquistando volume, prendendo posto nello spazio

Queste sovrapposizioni di colore generano una pittura di spessore, simile ad un bassorilievo. È l’apoteosi del verde, il colore più diffuso in natura, il colore della vegetazione, delle piante rampicanti che, chissà, avrebbero potuto ricoprire parte delle mura. È un verde smeraldo profondo e luminoso, al quale si mescolano guizzi di verdolino, di un colore più scuro, quasi nero e di marrone a formare un intreccio cromatico che ipnotizza.
La terra, che nutre e custodisce la vegetazione permettendole di svilupparsi tanto rigogliosa e folta fino al punto di ricoprirla, qui scompare; il cielo, invece, una fascia dal colore blu intenso, occupa lo spazio che gli spetta nella parte superiore della tela, dove nell’angolo a destra il pittore ha siglato l’opera.

Un altro quadro, dal medesimo titolo e realizzato nello stesso anno, appartiene al Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma: di nuovo un groviglio di materia con variazioni di forme e colori rispetto all’opera di proprietà di Fondazione Cariparma, dove colpisce il rosso amaranto che risalta tra le campiture di verde e ricorda il cotto della cinta.

In quegli anni Padova continua la sua ricerca legata all’informale, come testimonia anche questa opera, incurante del fatto che il Movimento Informale Europeo avesse ufficialmente esaurito la sua carica espressiva già attorno al 1963. D’altronde Padova non è mai stato un artista incline a seguire le mode, le correnti o i modelli precostituiti da altri, pur essendone a conoscenza. Anche in questi ultimi anni di attività, la sua ricerca resta personale, indipendente, costante, giocata su pochi temi legati alla natura e tradotti in varie forme. Giuseppe Tonna, amico intimo di Padova, conosciuto a Casalmaggiore quando insegnava, omaggiando il pittore poco tempo dopo la sua morte, avvenuta il 2 maggio del 1979, scrisse: «Tutta la sua opera è una continua serie di ‘fantasie’. L’aspetto naturale è solo il punto di partenza per una fuga verso la favola, l’invenzione stregata, allucinata. I colori sono sempre una sorpresa, creano un universo nuovo, fabuloso e non astratto, in cui trascorre un’aria di stagioni impossibili, come un allarme o un trasalito presagio di catastrofi imminenti. […] Un angolo del Po con acque e arbusti, rivissuto carnalmente nella pasta del colore, è un modo di rifugiarsi in qualcosa di diverso dalla realtà sociopolitica circostante: è l’accento particolare della resa di questo spazio del cuore a dirci una fuga che è un atto di protesta, non un disincantato disimpegno. È in questa linea, pensiamo, che tutta l’opera di Padova va rivisitata. Si scoprirà allora che grande figlio abbia in lui la terra padana: un testimone, apparentemente appartato, del suo tempo stravolto. Un visionario di talento».

Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa