Giuseppe Boccaccio
(Colorno, 1790 – Parma, 5 febbraio 1852)

Veduta della Piazza Grande di Parma
(1847 circa, olio su tela)

Il colornese Giuseppe Boccaccio, apprezzato maestro di disegno della duchessa Maria Luigia, diventò il primo direttore della scuola «di paese», ossia di paesaggio, all’interno dell’Accademia. Boccaccio non fu un maestro convenzionale. Grazie allo spirito progressista e al credito che vantava presso la duchessa, egli poté introdurre una modalità didattica innovativa, disegnare e dipingere en plein air, prendendo la realtà, come modello per eccellenza, con attenzione al dettaglio, senza idealizzazioni e lontano dalla lunga e tediosa creazione in atelier. In questo ambito si colloca l’opera che presentiamo.

L’artista descrive la Piazza Grande, cuore della città, da una visuale insolita e con dovizia di particolari; ci documenta uno degli utilizzi del luogo, il colorato e brulicante mercato settimanale che a Parma, fin dal medioevo, si svolgeva nella piazza, ma anche nei borghi attigui; è un proliferare di attività, di piccoli mercati specializzati di cui resta ancora memoria nella toponomastica. I giorni di mercato sono stabiliti: dapprima solo il sabato e dal 1266 anche il mercoledì, un’eredità temporale che dura tuttora a suggellare lo spessore delle tradizioni storiche e il forte legame con le identità urbane.

Andiamo ad esaminare il dipinto scoprendone i dettagli.
Nella parte sinistra il pittore ci lascia un’importante testimonianza dell’aspetto architettonico del Palazzo del Torello che delimitava il lato sud della piazza. Il palazzo, voluto dal podestà Torello da Strada, fu costruito nel 1221 per diventare sede del Comune. Il pian terreno era caratterizzato da un lungo porticato, mentre al piano superiore si trovavano una loggia e le sale per le riunioni.
Persa ogni funzione pubblica e ceduto a privati, dopo diverse trasformazioni e manomissioni, l’edificio verrà demolito subito dopo la Seconda Guerra Mondiale per lasciare posto alla sede della Banca Commerciale Italiana.

Sempre a sinistra, in secondo piano, possiamo scorgere il campanile e la cupola della Chiesa di San Rocco, la cui costruzione iniziò nel 1528 per un voto che i cittadini fecero durante la  pestilenza, che in quell’anno stava affliggendo Parma.
Nel 1564 la chiesa fu donata in gestione ai Gesuiti con l’annesso convento nel quale dal 1599 vennero avviati i corsi universitari. Fu poi trasformata nella prima metà del XVIII secolo con l’aggiunta di un frontone curvilineo sulla facciata cinquecentesca.  Nel 1754 alla chiesa venne affiancato l’imponente campanile di oltre 50 metri.
I Gesuiti, espulsi dal ministro Du Tillot nel 1768, ritornarono a Parma nel 1844 per volere della Duchessa Maria Luigia che eresse la chiesa a Cappella Ducale. Ancora oggi, il convento è la sede centrale dell’Università di Parma.

Sullo sfondo del dipinto vediamo la Chiesa di San Pietro Apostolo, la cui facciata fu realizzata nel 1761 su progetto dell’architetto Ennemond-Alexandre Petitot. Nell’ambito del riordino della piazza l’architetto di corte invertì l’abside con la facciata della chiesa.
Nell’attico di quest’ultima compare il trofeo con la tiara e le chiavi pontificie modellato in stucco da Benigno Bossi.
La piazza è caratterizzata dall’omogeneità cromatica delle facciate riformate da Petitot nel 1760: il «color pietra» chiarissimo un bianco calce dalla tonalità calda, di gusto squisitamente neoclassico voluta dal Petitot.

Al centro della piazza si ergeva l’Ara Amicitiae. Il monumento in marmo bianco, progettato dal Petitot fu inaugurato il 7 giugno 1769, quasi un mese dopo la visita ufficiale dell’imperatore Giuseppe II per sancire l’amicizia tra gli Stati parmensi e l’Impero Austriaco, suggellata dalle nozze tra il duca di Parma, Ferdinando di Borbone, e l’Arciduchessa Maria Amalia d’Austria.
Il monumentale cippo progettato fin dal 1767 aveva anche la funzione di costituire il punto di partenza per la misurazione in miglia di tutte le strade dei ducati. Circondata da un’inferriata protettiva, l’Ara spicca in tutte le raffigurazioni della piazza fino al suo smantellamento, seguito al macabro episodio del 1859 che vide posta alla sua sommità la testa del colonnello Anviti, inviso ai patrioti.

Circondavano l’Ara Amicitiae i banchi coperti dove si commerciavano il formaggio e il burro; si possono inoltre notare alcune venditrici di ortaggi e frutta sedute a terra.

La piazza aveva una pavimentazione a riquadri in cotto e pietra. Tale ripartizione era utile anche per la corretta disposizione dei banchi del mercato.

In direzione di Strada dei Genovesi, l’attuale via Farini, erano posizionati i banchi dei commercianti di stoffe e mercerie. Al venerdì e al sabato in questo spazio si collocavano anche i pescivendoli, alcuni dei quali provenienti dalla Liguria.

A ridosso del Palazzo Comunale, si posizionavano i mercanti provenienti dalla campagna. I vasti portici del Palazzo Comunale, invece, erano adibiti esclusivamente alla vendita del grano, denominati proprio questo Portici del Grano.

Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa