Giuseppe Alinovi
(Parma, 1811 – 1848)

Case nell’isolato d’angolo fra via Verdi e via Affò
sec. XIX, secondo quarto, olio su carta

Questo scorcio rappresenta l’iconografia documentale di un luogo completamente perduto a causa delle drastiche modifiche subite dalla città fra Otto e Novecento, scorcio, che fino ai primi del Novecento, era l’angolo tra la strada dell’Ortaccio e borgo delle Scuderie, le odierne via Verdi e via Affò.

Le umili abitazioni affiancate le une alle altre si stagliano contro un cielo ceruleo appena velato; i muri hanno diversi colori e presentano i segni del tempo molto marcati a sottolineare la povertà delle case addossate le une alle altre; gli spioventi dei tetti si sovrappongono e da questi si elevano comignoli dalle diverse fogge. Nell’opera il senso di affastellamento urbano, frutto del sovrapporsi di numerose unità abitative, documenta come l’uomo, nel corso dei secoli, abbia riorganizzato sia il territorio che gli edifici preesistenti, creando l’antico e caratterizzato tessuto urbano del centro storico.

Giuseppe Alinovi realizzò questo olio tra il 1835 ed il 1847, nello stesso periodo nel quale la duchessa Maria Luigia gli commissionò una serie di tredici opere, tra paesaggi appenninici e vedute delle strade di Parma e dei territori del ducato. La sovrana infatti da sempre riservò grande attenzione alla produzione artistica di paesaggio, dilettandosi a realizzare pregevoli vedute e mettendo al proprio fianco nel 1819, come maestro personale, Giuseppe Boccaccio, nominato nel 1822 professore per la nuova ‘Scuola di Paese’ all’Accademia Parmense di Belle Arti. Corso che Alinovi frequentò come allievo. Egli fu tra i primi a dedicarsi attivamente allo ‘studio dal vero’, acquisendo quelle abilità indispensabili a cogliere la ‘veridicità’ degli scorci rappresentati.

La luce chiara ed estiva, proveniente da sinistra, accarezza la materia delle pareti, ora facendo risaltare l’intonaco e i laterizi, ora lasciando in ombra il muro della porzione di edificio rientrante. Gli edifici sbrecciati lasciano intravedere la muratura mista di pietrame, ciottoli e mattoni. Le case si presentano semplici e povere, ma ricche di particolari che attraggono via via l’occhio e ci invitano quasi ad avvicinarci e ad entrare dalle diverse aperture sui muri (porte, finestre ed archi di forma e dimensione differenti) per scoprire quale intimità familiare ancora vive, raccolta all’interno delle celate stanze.

I tetti, dai pendii più o meno dolci, sono coperti da coppi e la gronda, laddove sporgente, è formata dalle stesse travi prolungate dell’armatura del tetto. Al centro, nel punto più alto, spicca un’altana, terrazzo coperto e rialzato a guisa di torretta, utilizzata soprattutto come stenditoio per il bucato, tipico dell’edilizia domestica di Parma.

In primo piano, sulla destra a far da quinta, scorgiamo un altro particolare edificio affiancato alle abitazioni, il rustico per gli animali e le attività agricole. La base è una struttura in muratura provvista di una piccola porta di ricetto agli attrezzi rurali e alla stalla, da lì, attraverso una lunga scala a pioli, si accede al sottotetto, interamente ligneo, dove si raccoglievano il fieno e la paglia, ma anche dove si conservavano la frutta, la verdura e altri prodotti di consumo. Sorretto dal prolungamento delle travi sottostanti, troviamo il piccolo ballatoio in legno, chiuso da una semplice e leggera balaustra di protezione; nella parte alta, ancorata al soffitto, spunta una grossa trave lignea quadrangolare al cui apice è agganciato il sostegno metallico della carrucola per il saliscendi del materiale e delle vettovaglie.

Antistante l’abitazione, a ridosso del rustico, si riconosce l’orto recintato con gli alberi da frutto, il pergolato in legno per il sostegno della vite, le griglie di rami intrecciati a far da sostegno agli ortaggi e i teli di stoffa buttati al sole per proteggere le verdure dal calo termico notturno. Nell’aria tiepida le foglie sono immobili, creando ombre e realistici chiaroscuri secondo i dettami del Vedutismo di primo ‘800 a cui l’Alinovi aderisce in pieno.

Il dipinto, di grande valenza documentaria, ci presenta quindi un agglomerato di edifici urbani dalla struttura rurale più articolata di quello che appare a prima vista, con spazi organizzati per l’abitazione della famiglia, per gli animali, per i lavori e per gli attrezzi.
Il quieto luogo, privo di figure, sembra lontano dal frastuono cittadino pur essendo nella zona nord del Palazzo della Pilotta, in prossimità delle scuderie ducali e, sulla sponda opposta del torrente, del Foro Boario, vasto piazzale recintato che nei giorni di mercato risuonava dei muggiti degli animali da lavoro e delle contrattazioni dei contadini, che Maria Luigia in questi stessi anni, tra il 1836 ed il 1838, aveva realizzato, in corrispondenza dell’ultimo tratto dell’attuale via delle Fonderie dove insisteva la cinta muraria con il bastione cosiddetto dell’Aquila, abbattuto allo scopo; la prima delle attrezzature funzionali moderne della città che per la prima volta cambiava forma, demolendo e oltrepassando il limite antico delle mura.
Ma attraverso il suo personale stile placido e introspettivo, l’Alinovi riesce a cogliere i particolari di un mondo tranquillo, semplice e quotidiano ponendolo in una sorta di tempo sospeso, quasi abbandonato, animato solo dalla luce che lo attraversa.
Le case del dipinto, nella loro struttura architettonica così particolare, testimoniano l’aspetto rurale dei quartieri popolari della città all’interno delle mura, ormai totalmente scomparso; le abitazioni, profondamente danneggiate dai bombardamenti, vennero abbattute, come gran parte degli isolati circostanti, nel dopoguerra. Il piano delle demolizioni colpì pure il Monumento a Verdi, inaugurato solo nel 1920. Il piano regolatore del 1957, realizzato solamente negli anni ’60, previde la costruzione dell’asse rettilineo di Via Roma, da viale Bottego a P.le Bodoni, attuale via Verdi.

Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa