Giulio Carmignani
(Parma, 1813 – 1890)

Veduta di Santa Maria del Quartiere
(1840 – 1841, olio su tela)

Si incontra un dipinto del Sig. Carmignani che è una copia prospettica della nostra chiesa del Quartiere con alquante figure o macchiette presentanti spiritosamente una rissa popolana. Così scriveva Carlo Malaspina sulla rivista Il Facchino descrivendo quella che con ogni probabilità era la prima apparizione pubblica dell’artista; l’opera venne esposta nella mostra del 1841, allestita nel Palazzo del Giardino nell’ambito del programma di commissioni agli artisti in vigore sotto Maria Luigia.

Giulio Carmignani, uno dei maggiori esponenti della pittura parmigiana dell’800. Per ventitré anni tenne la direzione della importante tipografia Carmignani in cui si stampava anche la Gazzetta di Parma. Ma le sue inclinazioni erano portate più alla letteratura e alla pittura, soprattutto di paesaggio; frequentò l’Accademia di Belle Arti dove fu allievo di Giuseppe Boccaccio. La sua pittura, oscillante tra il neoclassicismo e il romanticismo, rivela il legame con la scuola accademica di Parma. Divenne l’artista che ci ha lasciato incantevoli vedute di Parma realizzate con acuta sensibilità e grande minuzia, sospese tra poesia e verità.

Torniamo alla nostra opera. Giulio Carmignani la realizza tra il 1840 ed il 1841; si ritiene che questa sia la sua più precoce opera conosciuta. Dipinse questa veduta, che raffigura un angolo dell’oltretorrente cittadino, in cui si trova la seicentesca chiesa di Santa Maria del Quartiere. L’imponente edificio religioso venne realizzato durante la ducea di Ranuccio I Farnese su disegno del ferrarese Gian Battista Aleotti, detto l’Argenta, architetto prediletto dal duca, che qualche anno dopo progetterà per lui il ligneo gioiello del Teatro Farnese nel Palazzo della Pilotta. I lavori di costruzione cominciarono nel 1604, ma il progetto iniziale venne poi rimaneggiato da Giovan Battista Magnani, che portò a termine la costruzione tra il 1619 e il 1620.

Da una cronaca del tempo lasciata da Francesco Grisendi, sappiamo che il 20 maggio 1620, in occasione della terza domenica del mese mariano, il Duca Odoardo Farnese fece organizzare una parata che partita da Piazza Grande arrivò fino al sagrato della chiesa. Sull’estradosso della cupola, non ancora coperta di tegole, era stata allestita una straordinaria macchina pirotecnica. Al termine della funzione religiosa, alla presenza della corte e della cittadinanza, all’imbrunire sulla cupola apparve un drago volante, serpeggiante attorno d’una Vergine in piedi, che teneva nella sua destra una croce e con la sinistra spruzzando dal petto latte, ne uccideva un’idra di sette capi che usciva dalla bocca di detto dragone.
Nell’immagine a seguire la ricostruzione della macchina pirotecnica del 1620 realizzata da Carlo Mambriani per la mostra “Il Dovere della Festa. I Farnese e gli effimeri barocchi a Parma, Piacenza e Roma (1628-1750)”  allestita a Palazzo Bossi Bocchi nel 2018:

Nell’opera l’imponente prisma dell’edificio domina la scena e nella forma ci restituisce chiaramente la particolare struttura a pianta centrale e a base esagonale, nuova soluzione, che negli stessi anni vedeva la luce anche in alcuni edifici sacri della Roma papale. L’artista sceglie di inquadrare il soggetto dal privilegiato punto di vista dell’attuale via Imbriani, rappresentando con grande accuratezza l’esterno della struttura, composta da tre corpi sovrapposti realizzati col tipico mattone a vista, la cui cromia è resa da minute campiture di colore dal grigio al rossastro, consuete tonalità degli impasti edili.

Perfettamente ombreggiati dalla fonte di luce proveniente da sinistra, paraste, lesene e contrafforti angolari scandiscono i volumi e conferiscono movimento all’intera struttura, che si staglia contro un cielo azzurro, in parte percorso da bianche nuvole sparse.

Sulla destra del tempio, lungo l’attuale strada del Quartiere, la veduta mette in risalto da un lato il recinto murato e la folta vegetazione di un orto privato, dall’altro il nitido prospetto dello “Spedale degli Incurabili” voluto dalla duchessa Maria Luigia per fronteggiare l’epidemia di colera del 1836. La duchessa diede facoltà al Comune di Parma di cedere gratuitamente agli Ospizi Civili una parte del convento del Quartiere per farne la sede, più spaziosa e idonea, dell’originale nosocomio degli Incurabili che si trovava nell’attuale via Bizio: Sua Maestà – come ricorda il testo dell’archivista Amadio Ronchini – toccata da compassione per quegli sventurati, mostrò desiderio di migliorarne la condizione. Il trasferimento dei malati avvenne nella sera del 24 agosto 1837 e nello stesso anno iniziarono i lavori alla facciata dell’ex convento per renderla consona alla nuova funzione che il complesso assumeva. Il dipinto di Carmignani venne realizzato pochissimo tempo dopo l’apertura dell’importante opera di “munificenza” voluta da Maria Luigia; rappresenta un’importante testimonianza del rinnovato aspetto che le trasformazioni e rigenerazioni urbane producono sull’immagine della città.

Sulla sinistra della chiesa, con un realismo quasi documentario, troviamo un’abitazione popolare, povera e sbrecciata, rappresentata con esattezza nelle sue diverse finiture: il portone ad arco col piccolo passaggio pedonale, la bocca di lupo delle cantine aperta a livello stradale, le finestre protette dalle grate in ferro battuto al piano terra e quelle con le persiane grigie al primo piano, fino alle più piccole aperture ad arco del sottotetto.

A far da contraltare, defilata sulla destra, scorgiamo un’altra abitazione con vasi di fiori ad abbellire le finestre, più grande e curata rispetto alla precedente, ma entrambe le strutture testimoniano gli ultimi edifici costruiti verso la chiesa che oggi non esistono più, abbattuti nel ‘900 per realizzare l’antistante piazza, l’attuale piazzale Picelli.

A dar vita allo scorcio, una rissosa lite fra due popolane, ad assistere alla quale accorre una variegata schiera di persone. Le massaie si affacciano da porte e finestre richiamate dalle grida, giovani lavoratori fermano il carro per meglio vedere; una donna più anziana vorrebbe fermarle ma è trattenuta da un’altra, un gruppo di uomini impassibile quasi le deride e poi passanti casuali, bambini e animali. L’attenzione di tutti è focalizzata sulle due donne che si accapigliano e che radunano intorno a loro un nugolo di spettatori, più attirati da motivo di divertimento e curiosità che da preoccupazione.

L’artista dipinge la presente opera a circa 27 anni, quando nel suo stile, già unitario e sicuro, si legge però l’acerbità degli anni giovanili che, dopo alcuni viaggi e contatti con l’opera di altri artisti, maturerà fino ad elaborare il segno inconfondibile del suo pennello.

Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa