Giulio Carmignani
(1813 – 1890)

Tramonto in autunno dopo una giornata di pioggia
post 1864, olio su tela

«Il quadro è un dramma della luce», così scriveva Roberto Tassi nel 1994 nel volume La corona di primule, descrivendo questo dipinto di Giulio Carmignani in cui paesaggio e vicenda umana sono uno dentro l’altra; vi suggeriamo di leggere questa scheda mettendo in sottofondo l’Adagio dell’Autunno di Vivaldi che vi aiuterà a calarvi nell’atmosfera descritta dal pittore. È una strategia che utilizziamo quando insegniamo ai bambini che i ‘quadri raccontano’, come i libri e i brani musicali, basta lasciarsi trasportare.

Giulio Carmignani è uno dei maggiori esponenti della pittura parmigiana dell’800, e Tramonto in autunno dopo una giornata di pioggia, è probabilmente il suo soggetto più famoso, di cui produsse numerose repliche di poco differenti fra loro. L’artista seguì, probabilmente in forma privata, le lezioni di paesaggio di Giuseppe Boccaccio, che nel 1850 sostituì per breve tempo all’Accademia di Parma e, una volta abbandonata l’attività nella tipografia di famiglia, si dedicò totalmente alla pittura e arricchì la sua arte e la sua esperienza grazie al contatto con diversi artisti e durante alcuni importanti viaggi: quello a Napoli, dove sperimentò le novità della “Scuola di Posillipo”, quello in Svizzera e in particolare grazie all’esperienza parigina che fece attraverso il viaggio del figlio Guido, documentata dall’intenso carteggio intercorso fra padre e figlio, viva testimonianza della vita nella Parigi di metà ‘800 e delle novità degli artisti della “Scuola di Barbizon” che sempre più inclini al realismo, indugiavano in uno stile raffinato e legato al romanticismo.
Ma fu sempre Parma, con i suoi paesaggi e le sue vedute, ad ispirarlo ed affascinarlo.
Giulio dipinse questo tema per la prima volta nel 1864, quadro che rimase visibile al pubblico nella Galleria Nazionale di Parma fino al 1938; oggi quest’opera è conservata negli uffici della Prefettura; nelle nostre raccolte abbiamo una cartolina della mostra d’Arte Emiliana allestita nel 1913 in occasione del primo centenario verdiano che illustra l’opera.

La nostra opera può essere identificata con la versione del 1869, esposta a Parma nel 1870 e successivamente a Torino, oppure, ancor più a ridosso dell’originale, con quella del 1866. È un paesaggio dal vero dei dintorni di Parma, illuminato dai raggi del tramonto che, ormai debolmente, riscaldano le diverse superfici su cui s’infrangono e si moltiplicano, tuffandosi negli specchi d’acqua sparsi qua e là nella vasta pianura.
È autunno inoltrato, lento, quasi immobile. Sulla sinistra, a delimitare la scena il pittore dipinge dei pioppi, alti alberi spogli le cui poche foglie, rimaste sulle punte dei rami lievemente mossi dal vento, hanno già perso i toni brillanti del giallo e del bronzo, per lasciarsi ormai cadere nell’imminente sonno invernale.

In primo piano sempre a sinistra, in parte fuori dall’inquadratura, giacciono disordinati gli ultimi tronchi abbattuti nella stagione estiva, gettati a terra dalla furia della piena appena passata,

mentre a destra, cespugli spontanei con candidi boccioli si fanno spazio e continuano liberi la loro fioritura.

Ed eccolo, il sole al tramonto che fa capolino dal tronco del primo albero e la sua luce scende, obliqua e di un giallo rosato, giù dalla sagoma appena accennata delle montagne, riverberandosi nelle acque sparse del torrente, ormai quasi rientrato nel suo corso originario dopo l’esondazione.

L’aria è tersa e la luce è limpida, ma i toni di questo tramonto sono freddi: il grumo cromatico del sole, spesso e quasi materico, è di un bianco abbagliante; il cielo, striato da lunghe nuvole grigie e rosa, avvolge l’orizzonte in un’atmosfera immota.
Il tempo sulle colline sembra un istante sospeso, mentre in primo piano i minuti trascorrono ed il giorno sta volgendo al termine, segnando la fine di una giornata di duro lavoro. Un uomo ed una donna si accingono verso casa col passo pesante sul fondo melmoso e le spalle stanche, cariche delle attività dei campi e di ulteriori fatiche, causate dai danni che la potenza della tormenta ha lasciato sul suolo.

La figura femminile guida la preziosa ed unica mucca, col lieve tocco del bastone, verso il rifugio domestico ormai prossimo, da raggiungere con un ultimo sforzo prima che arrivi la sera.
L’umile casa è lì vicino infatti, sull’argine delimitato e sostenuto da una fila di quattro gelsi e da un vecchio steccato di legno scuro e inumidito, davanti al quale un uccello, abbandonata la paura della tempesta, ha spiccato il volo e, con le ali dispiegate e il capo abbassato, passa sulle pozze scrutando la superficie dell’acqua.

L’abitazione è formata da due corpi, quello antistante più basso, dallo spiovente acuto, al cui apice il camino fa salire il fumo bianco e denso del fuoco acceso da poco per la cena e la sera autunnale, che sarà fredda, e che illumina di giallo intenso la finestra sulla facciata; l’altro corpo, retrostante a torre, si erge quasi inghiottito dalla fitta e variegata boscaglia.
L’opera ci rimanda al meglio l’immagine del mondo poetico di Giulio Carmignani, permeato dal silenzio, dalla malinconia e lontano dal rumore cittadino; tale senso poetico è tipico dello spirito dell’artista, che qui fonde il fascino di un sentimento caldo e pacato, alla tangibile testimonianza di uno spaccato di vita popolare alla metà del XIX secolo.

Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa