Claudio Spattini
(Modena 1922, Parma 2010)

Pietra di Bismantova
1990, olio su tela

«Claudio Spattini, pur modenese di origine, è da anni uno dei rappresentanti più in vista della pittura parmense; anzi, c’è stato un periodo in cui partecipava in città e provincia a tutti i premi che venivano allestiti, e vinceva sempre. Proprio per quell’abilità innata di adeguarsi ad ogni tipo di soggetto o di atmosfera ed essere sempre attuale e sempre nuovo. […] Come abilità, Spattini è forse “troppo” bravo: è il solito discorso dei pittori a cui viene tutto facile, per le doti innate. Ogni attrattiva artistica diviene tentazione e quindi pericolo di cambiare troppo rapidamente. Per Spattini, tuttavia, c’è sempre l’eleganza, addirittura la raffinatezza, a contenere e a risolvere tutto. Un gusto sottile che lega oggetti e ambiente e che crea, quasi sempre, piccoli capolavori di sensibilità». Le parole del giornalista Tiziano Marcheselli, tratte da un articolo pubblicato sulla Gazzetta di Parma il 18 marzo 1968, ci introducono alla conoscenza della dimensione artistica di Claudio Spattini, pittore dotato, sensibile e raffinato. La sua prima formazione avvenne a Modena, dove, frequentò l’Istituto d’Arte Adolfo Venturi. Prese parte al secondo conflitto mondiale, fu deportato in Germania, fuggì e tornò in Italia: di quel drammatico periodo trascorso nel campo di concentramento resta un prezioso quaderno di schizzi. Dopo il rientro, riprese gli studi e si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove fu allievo di Virgilio Guidi, insegnante di pittura, e di Giorgio Morandi, insegnante di incisione. A Modena, negli anni del dopoguerra, quando era solo uno dei tanti giovani pittori emergenti in città, ebbe l’opportunità di partecipare a mostre collettive organizzate dall’associazione “Amici dell’Arte” presso la “Saletta”, spazio espositivo e luogo d’incontro di celebri artisti italiani del tempo. Nel 1954, ottenne la cattedra come insegnante di disegno alla Scuola Media Giovanni Pascoli di Parma, città nella quale decise ben presto di trasferirsi con la famiglia. Nel suo cammino artistico parmigiano lo affiancarono gli amici pittori Carlo Mattioli, modenese d’origine ma parmigiano d’adozione proprio come Spattini, e Amerigo Gabba, conosciuto ai tempi dell’Accademia di Bologna, con il quale condivise lo studio nell’attico del palazzo numero 46 di Via Garibaldi.

La produzione artistica di Spattini fu fervente e intensa, sviluppatasi sotto il segno del rigore e della sobrietà stilistica secondo l’esempio impartito dai sapienti maestri Virgilio Guidi e Giorgio Morandi. La sua ricerca fu costante e attenta, libera dai cliché circolanti al tempo e fortemente radicata al vero, ovvero in continuo dialogo con il reale. Era giocata su alcuni temi, facilmente individuabili e dominanti nella sua pittura: ritratti, nudi, nature morte e paesaggi.
L’Emilia fu protagonista indiscussa nelle sue opere: l’Emilia padana, delle campagne attraversate dal Po, l’Emilia delle città, di Parma in particolare con i suoi suggestivi scorci, ma soprattutto l’Emilia dell’Appennino con le sue vette, e poi i calanchi, le case arroccate e gli antichi castelli.
Proprio lì, nel cuore dell’Appennino Reggiano, si erge un massiccio roccioso tanto maestoso quanto spettacolare per il suo profilo che ricorda la forma di una nave: si tratta della Pietra di Bismantova. La rupe raggiunge un’altezza di 1041 metri circa ed ha origini antichissime che risalgono all’età del Miocene, ossia a circa 19 milioni di anni fa. La roccia è un’arenaria di origine marina, formata da potenti sedimenti sabbiosi depositati sui fondali del mare. Da secoli, miti e leggende si intrecciano intorno a questo luogo misterioso, che continua ad affascinare letterati, artisti e compositori. Pare che lo stesso Dante Alighieri, di passaggio in queste terre, la vide e proprio da essa trasse ispirazione per concepire la stessa sagoma del Monte del Purgatorio.

E così il sommo Vate vergò nel IV Canto del Purgatorio:

Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su Bismantova e ‘n Cacume
con esso i piè; ma qui convien ch’om voli;
dico con l’ale snelle e con le piume
del gran disio, di retro a quel condotto
che speranza mi dava e facea lume

Anche Spattini subì il fascino della Pietra che tornò a dipingere più volte. Ammirava quella natura incontaminata, fatta di fiori come le orchidee, i gigli, le campanule, l’elicriso che fioriscono a primavera, e dagli alberi del bosco come le querce, i carpini, i noccioli.
Il dipinto “Pietra di Bismantova”, donato nel 2012 dalla famiglia Spattini alle Collezioni della Fondazione Cariparma all’indomani della mostra Claudio Spattini e la memoria del Novecento, è datato 1990: l’anno è stato impresso proprio accanto alla firma dell’artista, lettere e numeri sono lunghi e sottili, nell’angolo destro in basso.

Il pittore da lontano osserva la montagna davanti a sé: è uno scenario spettacolare che traduce sulla tela con una somma di densi strati di materia colorata. In primo piano un campo dorato di grano cede il passo ad un campo vasto, quasi infinito, ricoperto di rigogliosa erba di un colore verde vivace, con spicchi più chiari, illuminati dai raggi del sole. Un’esuberanza cromatica, come l’ebbe a definire il critico Roberto Tassi, che appartiene alla maniera di Spattini. I colori sono accuratamente scelti e si fondono armoniosamente con le forme.

Un sole che possiamo solo immaginare, nascosto dietro una fitta coltre di nubi avorio e grigie, animate da tocchi giallo zafferano, che diventano più scure e minacciose nell’angolo di cielo a destra.

La roccia si innalza scura e massiccia al centro della tela, alleggerita solo da alcune macchie di colore rosa, celeste e violetto che ne avvolgono la base, e sembra prendere forma dall’unione di due figure umane, adagiate l’una sull’altra. Ai lati della Pietra, in lontananza, si intravedono piccoli monti azzurri, simili a soffici nuvole.

Nello stesso anno realizza un’altra veduta della Pietra, sempre un olio su tela come il dipinto di proprietà della Fondazione Cariparma, ma dal formato più ridotto. In questo dipinto mette in atto una sintesi della gamma cromatica e degli elementi compositivi presenti nell’opera di Fondazione: il rosso fuoco della terra è abbinato al nero della roccia e all’avorio del cielo.

Nel corso di un’intervista rilasciata da Spattini a Feruccio Veronesi, per il quotidiano “Il Resto del Carlino Modena” del 26 settembre 1995, gli fu chiesto, tra le ultime domande, se pensasse di aver dipinto in modo nuovo. Egli rispose: «L’arte consiste sia nel rappresentare cose nuove, ma sorretta da voleri intrinseci, sia nel rappresentare con novità, ma con valida fattura. Nessun pittore può asserire di aver dipinto cose nuove o in modo nuovo: dietro di lui c’è sempre una fonte di ispirazione, anche se inconscia, fatta di cultura e di contatti che si fondono con ciò che è suo. Quindi posso pensare di dipingere in un modo nuovo e diverso dagli altri, solo per quel poco di mio che c’è».

Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa