Camillo Scaramuzza
(1842-1915)

Vallata del torrente Baganza
1872, olio su tela

Il dipinto, che entra a far parte delle Collezioni di Fondazione Cariparma nel 2002, nonostante sia firmato a pennello rosso nell’angolo basso a sinistra “C. Scaramuzza ‘72”,

fu erroneamente attribuito a Francesco (Scaramuzza). I due artisti erano infatti parenti, essendo Camillo nipote del più noto Francesco e non è da escludere che fu proprio lo zio ad avviare il giovane nipote alla pittura.
Camillo, che fu attivo in età matura anche come scenografo accanto a Giacobelli presso il Teatro Regio per le rappresentazioni dei melodrammi verdiani, fu allievo dell’Accademia parmense fin dal 1857 presso la Scuola di paesaggio, e successivamente frequentò i corsi di Ornato Elementare e Superiore.
Già nel 1861, poco più che ventenne, conseguì una menzione onorevole per il Paesaggio di 2a classe (eseguire copia di un dipinto) per poi aggiudicarsi nel 1862 la medaglia d’oro per il Paesaggio di 1a classe (lavoro dal vero).
Durante il ducato di Carlo III di Borbone, all’inizio del 1852, venne fondata la Società d’Incoraggiamento agli artisti istituzione voluta da un gruppo di cittadini, che incontrò il favore del duca. In cambio di una quota annua ogni associato (privati, comuni, enti, gli stessi duchi) concorrevano, per via di sorteggio, a opere di artisti degli Stati parmensi acquistate precedentemente dalla Società, oppure espressamente commissionate in occasione delle esposizioni. La Società d’Incoraggiamento, i cui Statuti furono approvati nel 1861, ebbe un ruolo importantissimo per il sostegno agli artisti, generando una nuova dinamica di mercato che proseguirà, tra alti e bassi e significativi cambiamenti, sino al 1945.
Camillo cominciò ad esporre per la Società di Incoraggiamento fin dal 1863 e alla Mostra Industriale Provinciale per poi proseguire regolarmente a partecipare a numerose esposizioni, sia a Parma, che nelle altre province della nuova unificazione Italiana (come nel 1867 a Bologna), dove ottenne riconoscimenti e menzioni d’onore.
Nella sua produzione da cavalletto Scaramuzza attraversa differenti momenti di maturazione artistica che lo portarono dal passaggio della tradizione ‘romantica’ a quello, più moderno, della ‘macchia’. La nuova corrente artistica era difatti nata nel 1850 a Firenze, dove un gruppo di giovani artisti cominciò a riunirsi al Caffè Michelangelo per discutere d’arte, arrivando così a mettere in discussione le regole imposte dell’accademismo tradizionale. Solamente dopo il viaggio di alcuni di questi giovani artisti nella capitale francese questi pittori cominciarono a concentrarsi su nuovi valori pittorici, sul rapporto tra i colori, e sui volumi costruiti tramite la luce. Anche se questo gruppo, definito ironicamente “Macchiaioli” nel 1861, cominciò a disgregarsi alla fine degli anni ‘60, le loro idee, le loro innovazioni, le loro riflessioni artistiche continuarono a circolare tra gli artisti che, numerosissimi, avevano frequentato Firenze e il clima di innovazione artistica che lì aveva preso corpo.
Questo stesso fervore innovativo arrivò anche ad influenzare Camillo Scaramuzza, portando l’artista a contaminare il romanticismo delle sue tele con pennellate veloci caratterizzate da contrasti e larghe campiture cromatiche.
La Vallata del Torrente Baganza rientra in questa tipologia di produzione. L’attenta osservazione della realtà che l’artista compie dinnanzi alla veduta del torrente, viene infatti riportata sulla tela attraverso pennellate che creano forme e volumi attraverso la netta contrapposizione dei colori che non degradano più in leggere sfumature, ma che delineano contrasti ben marcati. In questo modo gli elementi costitutivi della composizione non sono più definiti dal disegno, ma dall’accostamento cromatico e dal contrasto tonale. Questa influenza viene tuttavia mitigata dalla tradizione accademica, divenuta via via parte integrante dello stile dell’artista, grazie alla quale resta evidente una visione romantica del paesaggio.
In questo dipinto, lo Scaramuzza ci descrive una quotidianità oggi perduta. Un pastore che con il vincastro incita la piccola mandria a riprendere il cammino dopo essersi fermata ad abbeverarsi alle rive del torrente

Solo pochi capi di bestiame, quelli sufficienti a garantire un minimo quantitativo di latte che verosimilmente veniva conferito al caseificio per la lavorazione del Parmigiano Reggiano, nonché per il consumo famigliare e la produzione di burro e ricotta.
In secondo piano, si scorge anche una seconda persona alle spalle del pastore. Sulla riva opposta una donna sembra allontanarsi dalle sponde portando sul capo un cesto di panni.

Difficile poter distinguere i particolari di questa figura, ma le pennellate di colore riescono a disegnare la lunga gonna ed il paniere sul capo. Il vento muove con forza moderata le fronde degli alberi che a loro volta creano una quinta scenografica alle cime degli Appennini che si stagliano sullo sfondo. Scaramuzza ci descrive pioppi alti quasi privi di foglie, piante più giovani e di un verde più tenue, o ricche fronde di un verde profondo. Non mancano, in primo piano, piccoli arbusti e fiori spontanei che decorano il greto del torrente e un’ampia porzione di terreno lasciata scoperta dal ritirarsi stagionale delle acque torrentizie.

L’antropomorfizzazione del paesaggio è sottolineata anche dalla presenza di un denso fumo grigio – bianco caratteristico di quei fuochi che venivano accesi per eliminare, appunto bruciandoli, vegetali secchi come le stoppie di un pascolo, i rami secchi, le foglie e tutti quei residui della pulitura dei terreni.

L’acqua del Baganza è calma e limpida, di un colore azzurro/verde che riflette il cielo soprastante ricco di nubi. Non vi è corrente in questo tratto, ma una piacevole massa d’acqua che sta per terminare la sua corsa ormai giunta quasi alla pianura perde forza.

Nato dal monte Borgognone (m 1.401), poco a est del passo della Cisa, dopo aver percorso la vallata omonima, e aver attraversato le località di Berceto, Fugazzolo, Casaselvatica, Ravarano, Calestano, Ronzano, Marzolara, San Vitale Baganza, Felino, Sala Baganza, San Ruffino e Gaione, giunge in città per affluire al torrente Parma nei pressi del Ponte Dattaro.
Il cielo è solcato da nubi di colore bianco e grigio che ci raccontano di un temporale che forse sta per arrivare, ed è per questo che la donna sulla sponda opposta fa ritorno verso casa col suo cesto di biancheria e il pastore si affretta a ricondurre le bestie al riparo verso la stalla.

Tra le nubi ancora filtra qualche raggio di sole che manifesta tutto il suo calore tingendo il prato sottostante di un brillante verde acceso. I colori, così accesi, contrastano con le ombre scure che la luce stessa disegna e ci suggerisce che la stagione calda è già arrivata.

All’orizzonte si staglia il profilo degli Appennini che Scaramuzza ci descrive dettagliatamente e realisticamente. Si possono infatti riconoscere il Monte Ventasso ed il Monte Succiso che segnano il confine tra la regione Emilia Romagna e la regione Toscana, ma anche il Monte Fuso nel comune di Neviano degli Arduini. Il fatto che solo Ventasso, Alpe di Succiso e Punta Buffanaro (punto culminante dei Groppi di Camporaghena) siano innevati mentre il resto è già verde porta verosimilmente (come conferma lo storico dell’arte Andrea Greci) a ritenere che la scena sia stata immortalata nel mese di maggio.

Dalla disposizione delle cime sopra descritte si può ritenere che il punto in cui Camillo Scaramuzza si sia soffermato a descrivere questa porzione della Valla del torrente Baganza sia la sponda sinistra orografica del corso idrico indicativamente corrispondente all’attuale Via Farnese, all’altezza di Vigheffio o poco dopo, più o meno.

Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa