Bruno Zoni
(Coltaro di Sissa 1911 – Bannone di Traversetolo, Parma 1986)

Parma dal torrente
1958, olio su tela

La casa della famiglia Zoni in Borgo Felino è stata per Bruno lo spazio dove poter dare forma ai propri impulsi artistici e dove accogliere gli amici di sempre, suoi sinceri estimatori, ai quali era solito presentare gli ultimi lavori realizzati affinché esprimessero il loro giudizio. Lo ricordava bene anche il professore Arturo Carlo Quintavalle, assiduo frequentatore di casa Zoni grazie all’amicizia che legava l’artista ai suoi genitori, come racconta nel catalogo della mostra del 2003, a lui dedicata, che fu allestita nelle Scuderie della Pilotta: «In quel suo atelier che era insieme casa e studio, perché alla fine pianoforte e tavolozze, cavalletto e dipinti in fieri si ritrovavano tutti insieme, in quel complesso sistema di ambienti infilati l’uno dentro l’altro dove Zoni si muoveva con agilità, il dialogo con i dipinti era molto intenso. Zoni li rivoltava dal muro, pochissimi erano con la faccia volta allo spettatore, e li proponeva uno per volta sul cavalletto; non diceva nulla, attendeva un giudizio, e magari lui stesso accennava a un incontro, a un dialogo con un altro pittore, oppure a un luogo dove quel quadro era stato dipinto o agli spazi che lo avevano ispirato». Era un pittore attento e serio Bruno Zoni, aperto al dialogo e al confronto; non era affatto un pittore solitario come è stato definito in certe occasioni, ma piuttosto schivo dall’esibizionismo.
Parma fu la città dove Zoni trascorse la sua intera esistenza, che lo accolse quando era ancora un bambino, insieme alla sua famiglia, dopo aver lasciato Coltaro di Sissa, il paesino della Bassa parmense dove era nato. Di certo, quel legame con il Po, la sua terra e i suoi orizzonti non si era mai spezzato, al contrario si era consolidato negli anni, e proprio gli scenari padani furono costantemente rielaborati nella mente del maestro e trascritti dalla sua mano sul supporto.
Nel suo “fare artistico” Zoni non ha tralasciato neppure il racconto “urbano” e proprio di Parma, con le sue strade, i suoi edifici, il fiume e i ponti ha realizzato cartoline di straordinaria bellezza.

Appartiene alle Collezioni d’Arte di Fondazione Cariparma il quadro intitolato Parma dal torrente, il quale fu acquistato nel 1987 direttamente dagli eredi del pittore. Si tratta di un dipinto ad olio su tela, di grandi dimensioni, cm 100 x 200, e datato 1958.
È una veduta del torrente Parma, catturata da un ipotetico punto aereo fissato al di sopra del Ponte di Mezzo.
Sullo sfondo, a sovrastare il fiume, si erge il Ponte Caprazucca, un tempo conosciuto con il nome di ponte di Donna Egidia (o Zilia). Nella prima metà del Duecento, Egidia Della Palude, nobildonna della famiglia di feudatari dei marchesi di Canossa, ordinò la costruzione di questo ponte in legno, a schiena d’asino, che da lei prese il nome. Tra il 1278 e il 1284 il ponte fu sostituito da un ponte in muratura per volontà del Comune di Parma. Nel corso dei secoli, il ponte subì diversi danneggiamenti causati dalle piene del fiume, fino ad arrivare al completo abbattimento dei suoi parapetti durante la terribile inondazione del 21 settembre 1868, a seguito della quale furono intrapresi i lavori di costruzione dell’attuale struttura. Secondo la tradizione, l’origine del nome è legata alla figura del contestabile Antonio da Godano (XV secolo), che facendo la spola da una sponda all’altra del fiume e spostandosi lungo il ponte a schiena d’asino, con questo movimento ricordava alle persone che lo osservavano il gioco della cavallina. Quando si faceva questo gioco, in dialetto si diceva zugar a cravasucca.

Alle due estremità del ponte svettano due imponenti edifici: a sinistra il palazzo sede di un hotel, compatto parallelepipedo con una scacchiera di finestre regolari in facciata e, a destra, l’alto palazzo che si affaccia su Piazzale Rondani. Questo piazzale dell’Oltretorrente un tempo era detto dei Cappuccini poiché vi sorgeva un antico convento, dedicato a Santa Caterina, abitato dai Padri Cappuccini. L’area fu sistemata tra il 1891 e il 1892, e in seguito fu intitolata al poeta e letterato parmigiano Alberto Rondani, che lì visse dal 1861 al 1911, come ricorda la targa commemorativa posta all’esterno della sua casa. Nel dipinto, gli edifici adiacenti lo svettante palazzo perdono contorni, volumi, consistenza, si fanno evanescenti, indefiniti fasci luminosi.

In primo piano, domina l’ampio greto del torrente che si fa largo tra i muraglioni del Lungoparma; il fiume, che nasce sul versante settentrionale dell’Appennino Tosco-emiliano, attraversa interamente la città, da sud a nord, confluendo nel Po a valle di Colorno. Nell’opera di Zoni l’acqua del fiume sembra essersi trasformata in una superficie ghiacciata sulla quale si riflettono lampi di luce; anche la rigogliosa vegetazione, composta di erba e arbusti, che si sviluppa sul terreno risparmiato dall’acqua, si illumina colpita dai riflessi irradiati dallo specchio d’acqua.

Il cielo plumbeo che ricopre questo angolo di città mostra alcune schiarite: la fitta cortina di nuvole che lo avvolge sembra aprirsi lasciando filtrare qualche raggio di sole che accende di vibrazioni luminose le superfici colpite.

La veduta di Parma appena descritta si presenta come una meditazione sul reale, una rivisitazione sul piano emotivo e psicologico di uno scorcio urbano familiare: il gioco dei colori e degli effetti luministici contribuisce a creare un’atmosfera immobile e sospesa nel tempo della memoria, che mal cela un turbamento interiore, caratteristico di molti lavori della fase più consapevole e matura dell’artista.

Roberto Tassi, critico tra i più attenti conoscitori dell’opera del pittore, nel catalogo della mostra “Bruno Zoni. Opere dal 1956 al 1972“, tenutasi alla Galleria del Teatro nel 1973, ne lodò la poetica: «La pittura di Zoni è una pittura di luce; anche il colore, che pur domina l’immagine con giusta dosatura e con sottile poesia, si accende in funzione della luce; e son proprio come abbiamo visto, gli scarti, i movimenti e le vibrazioni della luce, a creare la dimensione fantastica, il segno del mistero, il sintomo psicologico. […] In questa disposizione lirica, così ricca di delicatezza, di sottili attenzioni, di poesia vissuta, e nel totale così abbandonato alla fantasia, Zoni ha toccato la sua vera personalità artistica, ha inventato un mondo che trasforma il naturalismo e rifiuta l’astrazione».

Scheda realizzata in collaborazione con Artificio Società Cooperativa