La prima sala della Biblioteca, contiene, ancora nei severi scaffali gesuitici dipinti a finto intarsio, la maggior parte del fondo librario antico. Il testo a seguire, di Alessandra Mordacci, è stato pubblicato sul volume a cura di Corrado Mingardi “Pasco Oves Meas. Il Monte di Pietà di Busseto e la sua Biblioteca”, Parma, 2002.

(…) Il patrimonio antico della Biblioteca (…) è costituito dagli Incunaboli e dalle Cinquecentine, seguite, in ordine cronologico, dalle edizioni del secolo XVII (le Seicentine), dalle Bodoniane di rarefatta eleganza neoclassica e dalle contemporanee illustrate con incisioni originali.

Meno rilevanti, invece, i manoscritti, ad eccezione dello splendido codice pergamenaceo degli Statuta Pallavicina, risalente alla fine del XV secolo. Di elevata importanza storica e legislativa e di elegante veste grafica, con grandi margini e in ottimo stato di conservazione, comprende gli statuti riformati da Orlando Pallavicino “il Magnifico” nel 1429: i civili constano di 57 capitoli e i criminali di 74, entrambi preceduti da indici. L’ultima carta contiene composizioni sacre in volgare e una terribile maledizione contro il furto del codice. Appartenne a Carlo Pallavicino di Tabiano, figlio di Uberto. Degli Statuta Pallavicina è presente in Biblioteca anche l’edizione a stampa, uscita nel 1582 dall’officina di Erasmo Viotti, con note dei giureconsulti bussetani Pietro Pettorelli e Girolamo Vitali.

I manoscritti gesuitici del Seicento sono in assoluto i più numerosi: concernono soprattutto corsi di lezione in materie diverse, tra cui un bellissimo manuale di disegni a penna e a sanguigna, ma vi è anche un interessante testo di veterinaria sui cavalli.
La sezione degli incunaboli (i libri in cuna, in culla, cioè fabbricati agli albori dell’arte della stampa, con i caratteri mobili ideati verso la metà del Quattrocento, con la stessa tecnica usata per incidere i metalli, dall’orafo di Magonza Johann Gutenberg) comprende venti edizioni del secolo XV. (…)

Le “cinquecentine”, che, come enuncia il vocabolo, sono le edizioni stampate nel corso del Cinquecento, ammontano a ben quattrocentosettantaquattro, di cui trentacinque illustrate.

Tra gli incunaboli, il primato dell’antichità spetta a due opere recanti entrambe la data 1485: il Liber de vita Christi ac Pontificum omnium di Bartolomeo Sacchi detto il Platina, stampato il 2 febbraio 1485 a Treviso da Giovanni Rosso e il De institutis cenobiorum di Johannes Cassianus, impresso a Basilea da Johann Amerbach.

I due libri ben rappresentano due aree tipografiche che si differenziano formalmente già quasi dalle origini dell’arte tipografica: l’uno è in caratteri romani ed ha un magnifico capolettera rinascimentale miniato e dorato, l’altro, tutto a caratteri gotici, è ornato da una xilografia tipicamente nordica, raffigurante la caduta di S. Paolo.
Notevole è anche il gruppo di quattro incunaboli stampati dal parmense Antonio Zarotto, due dei quali portano la prefazione del bussetano Stefano Dolcino, canonico della Scala. Decisamente curioso è un testo di medicina in poesia: il poema Carmina de urinarum judiciis di Gilles de Corbeil, stampato a Venezia nel 1494 per i tipi di Bernardino Vitali e Gerolamo Durand e splendida per le illustrazioni è la Divina Commediastampata a Venezia nel 1493 da un altro parmigiano, Matteo Codecà, con cento xilografie e molti capilettera xilografici.

Delle venti opere, sette provengono dalla libreria dei padri Gesuiti di Busseto ed una dai Gesuiti di Borgo San Donnino, altre sette risultano acquistate verso la fine del Settecento dal primo bibliotecario, Buonafede Vitali, con i proventi della vendita d’esemplari “inutili” o “duplicati”, mentre due furono comprate dal sacerdote storiografo Pietro Seletti (1770-1853), che fu bibliotecario dal 1820 al 1853.

Appartenne, forse, al medico bussetano Luca Balestra (1788-1874) un volume che tratta di materia medica (malattie, disturbi, sintomi e relativi medicamenti): l’Expositio noni libri Almansoris di Giovanni Ercolani, stampato a Venezia nel 1497 presso la tipografia di Boneto Locatelli. Dei due restanti esemplari non è stato possibile accertare il percorso attraverso cui sono giunti alla Biblioteca, poiché sui frontespizi non figurano note di possesso e perché i due pezzi non compaiono nei documenti d’acquisto già citati.

Quasi sicuramente il Paciaudi, come fece anche con la biblioteca dei Frati minori francescani, estrasse dal bussetano fondo gesuitico originario diversi esemplari (circa 50), che fece confluire nella costituenda biblioteca dei duchi di Parma.

Le cinquecentine, rispetto agli incunaboli, costituiscono dal punto di vista formale un’evoluzione dell’oggetto libro, che non vuole più imitare il modello del volume manoscritto, ma si offre alla lettura con parti “codificate”, come il frontespizio, destinato a contenere le principali informazioni per identificare l’opera, quali l’autore e il titolo, oltre al colophon, una sottoscrizione alla fine del testo che riporta il nome dello stampatore, la data e il luogo di stampa. Tipico, inoltre, dei libri stampati nel Cinquecento è l’estendersi della marca o insegna tipografica incisa che, oltre a costituire un ornamento, ha anche un compito di salvaguardia dalle contraffazioni. Si presenta come una raffigurazione simbolica spesso accompagnata da un motto. In origine era solitamente posta nell’ultima pagina bianca del libro, dall’inizio del XVI secolo è possibile riscontrarla anche, o solamente, sul frontespizio. Essa può essere la trasposizione figurata del cognome del tipografo (come il grifone per Giovanni Griffio o il drago per Vincenzo Busdraghi) oppure una rappresentazione dal significato allegorico (come la fenice dei Giolito che rappresenta immortalità o il delfino e l’ancora d’Aldo Manuzio che esprimono la rapidità intuitiva e la ponderatezza nell’agire) o il simbolo della città in cui lo stampatore lavora (come il giglio di Firenze per i Giunta) oppure, ancora, lo stemma araldico di una nobile famiglia: ad esempio lo stemma farnesiano di Seth ed Erasmo Viotti, stampatori ducali a Parma. Tali marche sono quasi tutte riscontrabili sui volumi della Biblioteca.

Circa tre quarti delle edizioni del ‘500 da essa possedute (342, per la precisione) sono italiane ed un quarto (124) straniere; di otto non è noto il luogo di stampa. In molti casi illustrate, sono state eseguite in prevalenza nei centri di stampa più famosi: in Italia a Venezia (251 edizioni), a Roma (16) e a Brescia (11), seguite da Cremona, Bologna, Ferrara, Firenze, Milano e Piacenza, ciascuna con meno di una decina di edizioni; all’estero a Lione (56), Parigi (17), Basilea (13) e Colonia (13), ma non mancano, sebbene siano in numero esiguo, esemplari impressi in Austria, in Belgio (Anversa e Lovanio), Inghilterra (Cambridge), Olanda (Amsterdam) e Spagna (Madrid e Salamanca).
Poche sono invece le edizioni emiliane, 18 in tutto, stampate a Bologna (4), Ferrara (5), Parma (2), Piacenza (6) e Cento (1). In buono stato di conservazione ed in maggioranza con legatura in pergamena, i libri appartengono soprattutto alla seconda metà del secolo.

Tra le opere di maggior pregio e rarità si segnalano il Lucidario in musicadi Pietro Aron stampato a Venezia nel 1545; i Discorsi sopra il modo di sanguinare del piacentino Pietro Paolo Magni, posseduta da pochissime biblioteche italiane, l’Opera omnia del poeta Ausonio, impressa a Firenze da Filippo Giunta nel 1517; varie edizioni “aldine” (tra cui lo Stazio del 1502, che è tra i primi libri in cui viene usato il carattere corsivo), l’Historia della città di Parma di Bonaventura Angeli, stampata nel 1591 a Parma da Erasmo Viotti.

Esemplare forse unico in tutte le biblioteche italiane è il volumetto di astrologia Zodiacus vitae, dedicato a Ercole d’Este, stampato a Venezia nel 1535 e posto all’indice nel 1558, che affascinò letterati italiani e stranieri per almeno due secoli, con le divagazioni morali e metafisiche e gli spunti satirici che contiene. Le scarse notizie biografiche sull’autore, Pietro Angelo Manzolli di Stellata presso Ferrara, lo descrivono ora come ecclesiastico, ora come medico, alchimista, addirittura mago.
L’opera, pubblicata con lo pseudonimo di Marcello Palingenio Stellato, si distingue per alcuni passi arditi, alla cui scoperta, avvenuta dopo la morte dell’autore, le sue ossa furono levate dalla tomba e date al rogo per empietà.

Tra le opere illustrate si segnalano, a mo’ d’esempio, i trattati d’architettura di Vitruvio, di Sebastiano Serlio, del Barbaro, di Jacopo Barozzi detto il Vignola, ma anche l’Orlando Furioso dell’Ariosto, stampato a Venezia dal Valgrisi, la descrizione dei Paesi Bassi del Guicciardini, con la pianta di tutte le regioni e città del Belgio e dell’Olanda e, di Girolamo Mercuriale, il De arte gymnastica (Venezia, Giunta, 1573), nonché alcuni classici latini, pure illustrati.
Quanto ai contenuti, si rileva la prevalenza equamente bilanciata di opere d’argomento religioso (26% ), umanistico, storico e scientifico (25%) e di autori classici (23%). Gli scritti di filosofia e teologia sono circa il 7%, mentre i testi a carattere giuridico rappresentano il 15% del totale e di questi ultimi un terzo appartenne a Carlo Rossi giurisperito bussetano del sec. XVII-XVIII, peraltro autore anch’esso di scritti in materia legale, tra cui il Tractatus de confusione et distinctione Jurium dedicato a Francesco Farnese.
Le edizioni del secolo XVI annoverano anche alcune “curiosità”: talora d’interesse squisitamente locale, come il volume del 1521 con il Panegirico di S. Antonino, patrono di Piacenza, composto dal bussetano Bernardino Cipelli, e gli Annali cremonesi del Cavitelli, ma più spesso d’interesse generale, come le opere d’argomento medico, tra cui quelle di Ambroise Paré, medico del re di Francia. Di autori parmigiani sono, invece, il De partibus aedium di Francesco Grapaldo e il De alluvionibusdel soragnese Battista Aimi.
Per quanto riguarda le provenienze individuabili attraverso le note di possesso, la maggioranza delle cinquecentine, pari a circa 140, presenta nei frontespizi scritte che testimoniano, nell’ordine, la precedente appartenenza alla Biblioteca dei Gesuiti di Busseto, 31 alla Biblioteca dei Gesuiti di Borgo San Donnino (oggi Fidenza), una ventina a Carlo Rossi, 13 a Emilio Seletti, 5 a Fabio e poi a Giacomo Balestrieri, dottore in medicina bussetano attivo nella seconda metà del Seicento, 4 a Luca Balestra ed altrettante a Giuseppe Vitali, che fu “prefetto” della Biblioteca agli inizi dell’800; 4 tomi, inoltre, portano l’ex libris autografo di Jacopo Sannazzaro, celebre poeta napoletano. Sono, infine, presenti, ciascuno con singole note di possesso o ex libris, molti eminenti personaggi bussetani e parmigiani, piacentini e cremonesi, bolognesi e forlivesi, esponenti del clero, della nobiltà, delle professioni, tra cui un canonico della collegiata di Monticelli d’Ongina, il conte Antonio Ambiveri di Piacenza, Lodovico Cantelli di Parma, Antonio Balestra, Pietro Pettorelli e il notaio Brunelli di Busseto, oltre ai Collegi dei Gesuiti di Piacenza e di Rimini, al Convento dell’Annunziata di Parma, a casa Fini Pola e alla famiglia Vitali di Coppelletto.

Le edizioni (non i volumi) del Seicento, che non sono mai state analizzate compiutamente nella loro totalità, assommano approssimativamente a 1.164, secondo il rilevamento effettuato sul “Catalogo Alfabetico” manoscritto. Alcuni giovani studiosi bussetani hanno recentemente dedicato la tesi di laurea alla catalogazione delle emiliane, censendole per luogo di stampa.
Tra esse si segnalano, ricchissime d’illustrazioni, l’opera del gesuita romano Flamiano Strada dedicata alle guerre di Fiandra e il Musæum Kircherianum mentre tra quelle del Settecento è opportuno ricordare l’Opera omnia del Muratori, l’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert nell’edizione di Losanna (1768), i dieci volumi de “I Cesari”, cioè il repertorio della collezione numismatica imperiale posseduta dai Farnese, con antiporta dello Spolverini e del Bibiena, nonché il trattato di Giandomenico Santorini con diciassette tavole anatomiche, curato da Michele Girardi protomedico del duca di Parma e pubblicato da Bodoni nel 1775: è forse il più bel libro di anatomia del Settecento. Ma numerose sono anche altre edizioni bodoniane, di maggiore o minore rarità.

Importante è il nucleo pressoché completo delle opere del bussetano Ireneo Affò, storico della città di Parma e un capitolo a parte meritano i fondi del ‘700, come la nutrita sezione di opere di medicina e scienze naturali provenienti dai lasciti del già citato Luca Balestra e di Ubaldo Casali, tra cui le famose Tavole anatomiche del Caldani.

(…) Merita un cenno, infine, la collezione contemporanea dei libri illustrati con incisioni e litografie originali di Carlo Mattioli, il più originale pittore parmense della seconda metà del secolo scorso, tutte a tiratura limitata, come lo merita la serie pressoché completa delle lussuose edizioni di Franco Maria Ricci (…).