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Figura singolare, eccentrica, quella di Froni: nonostante abbia frequentato per un anno l’Accademia di Belle Arti di Parma, nella sezione di architettura, è da considerare in gran parte un autodidatta, affascinato dalla scultura di Adolfo Wildt e Ivan Mestrovic, nell’immediato primo dopoguerra. Una scelta coraggiosa, ma che lo isola dai fermenti vivaci e contraddittori di quegli anni, segnati dallo scontro fra il Futurismo e altre tendenze artistiche, non solo d’avanguardia.

Il suo vero esordio pubblico, nel 1921, coincide con il ritorno del Futurismo, che a Parma ebbe nel “Rovente” ed in Piero Illari gli estremi paladini. Il Futurismo, del resto, proprio a Parma, a differenza di quanto avveniva in altre città, era riuscito a radicarsi saldamente nelle coscienze popolari, esprimendo le tensioni delle classi lavoratrici che sfociarono nei famosi episodi delle barricate del 1922.

Froni da Wildt ricava il senso drammatico, il gusto dell’immagine psicologica del soggetto, non il simbolismo. Dopo Un amico (1920), Maschera di Renzo Pezzani (1921) – il poeta era suo grande estimatore – arrivava a forme più essenziali, meno tormentate, come in Autunno (1927). Da qui parte la ricerca psicologica di Froni, il suo indagare il soggetto, il suo cercare di vedere oltre l’apparenza, in una ricerca di autenticità e di svelamento che ha qualcosa di pirandelliano e che diventerà drammatica nelle opere realizzate nel secondo dopoguerra.

Froni, straordinario ritrattista, indaga l’anima e tenta di afferrarne i segreti. Questa ricerca ha inizio con due affascinanti ritratti: Autoritratti del 1942 e del 1943. Le opere di Froni sono state lette talora come caricature in scultura, ma in esse c’è una tale tensione, un eccesso di monumentale, un superare ed annullare il bozzetto, per cui bisogna interpretarle per quello che sono: grandi maschere.

Froni cerca di togliere la maschera ai suoi modelli, di ridare ad essi autenticità. Quella di Froni è scultura esistenziale, che denuncia lacerazioni, solitudine, esasperazione psicologica. Lo si vede in opere come Il Cardinale Stepinach (1952), Giovanni Guareschi (1953), Carlo Carrà (1959), Il Cav. Camattini (1960-62), Braga (1960-62), il chirurgo Dogliotti (1963-64), Winston Churchill (1964-65), Albert Schweitzer (1960-62) e nelle varie versioni del ritratto dell’attore Memo Benassi, per non citare che alcuni casi.
Su di un altro registro i ritratti di bambini e ragazzi, còlti nella freschezza e spontaneità della loro gioia di vivere: dalle figlie Dadi e Bichi (fine anni ’30), a Il Capoclasse (1953), a L’ultimo della classe (1953), che è stato posto sulla tomba della maestra Lina Maghenzani, madre di Giovanni Guareschi, a Il giovane Sangiorgi (Anni ’50), fino a Giuliano Molossi (1960).

Lo stesso discorso per le tenere ed eleganti figure di donne e ballerine stilizzate, pervase da un sottile erotismo.
La Commissione Toponomastica del Comune di Parma ha proposto di dedicare a Luigi Froni una delle nuove vie della zona Est della città, accanto ai nomi prestigiosi dell’arte scultorea parmigiana del passato.

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