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Sono in mostra Luigi e Salvatore Marchesi, i magici “pittori delle sagrestie”, maestri della pittura di luce nell’Ottocento italiano.

La Fondazione Cassa di Risparmio di Parma ha riunito la maggior parte della produzione artistica dei due pittori (oltre cento opere tra oli, tempere, acquerelli e disegni), coinvolgendo numerose Istituzioni e Gallerie pubbliche italiane: l’Accademia di Belle Arti di Parma e quella di Brera a Milano, i Civici Musei di Brescia, Agrigento e Trieste, la Fondazione Banco di Sicilia, le Gallerie d’Arte Moderna di Milano, Palermo, Ricci Oddi di Piacenza e Torino, la Galleria Nazionale di Parma, il Museo Teatrale alla Scala di Milano, la Pinacoteca Nazionale di Bologna, le Amministrazioni Comunale e Provinciale e la camera di Commercio di Palermo, oltre naturalmente a numerosi collezionisti privati.

Una parte considerevole, anche se non esclusiva, delle tele di entrambi i Marchesi ha un soggetto inusuale anche per degli artisti di interni come essi furono ai massimi livelli: le sacrestie e, accanto ad esse, gli scorci di cappelle e navate di antiche chiese, animate da sacerdoti, monaci, chierichetti, sacrestani e fedeli, fissati nelle tele in situazioni inconsuete. Di questi ambienti, dove sfarzo e polvere spesso si coniugano, Luigi e soprattutto salvatore amano cogliere la quotidianità al di fuori delle cerimonie sacre.

C’è il vecchio prete che stampa le ostie, un giovane cantore che vocalizza solitario, sugli antichi corali, il chierichetto costretto a togliere da un antico tappeto le gocce di cera incautamente fatte cadere, il ragazzino arrampicato a spolverare un Cristo, la giovane donna prostrata ai piedi dell’altare a supplicare il perdono divino, sino ad un monaco riverso ai piedi di un pozzo, forse al termine di una robusta libagione o al suo confratello che si occupa delle verzure che prosperano all’interno di un chiostro assolato.

Atmosfere sospese che entrambi gli artisti colgono in momenti particolari di luce, attenti a rendere tensioni e silenzi dove grandi architetture limitano e filtrano la potenza del sole mediterraneo.

Quelle di Luigi e Salvatore Marchesi sono, pur nella specificità di ciascuna personalità artistica, stupende pagine d’arte e, insieme, di costume, spesso documenti sopravvissuti a ricordarci monumenti oggi scomparsi o deturpati irrimediabilmente.

E attraverso la prospettiva e la luce zio e nipote raggiungono livelli che trovano pochi confronti nella pittura di interni dell’Ottocento.
Luigi (1825 – 1862) allievo del Boccaccio all’Accademia di Belle Arti di Parma, subentra al suo maestro nel 1852. Vincendo il Gran Concorso di Paese, ottiene dal Governo Borbonico un periodo di pensionato a Roma. Tornato a Parma, la morte precoce interrompe l’evoluzione di una personalità che stava raggiungendo una affermazione nazionale. Con la sua pittura egli diventa il cantore delle chiese, sagrestie, chiostri e cortili parmensi restituendoci mirabilmente l’atmosfera ottocentesca della città nelle sue luci e nei suoi personaggi.

Il nipote Salvatore (1852 – 1926), ad undici anni è già allievo di Guido Carmignani al Corso di Paesaggio all’Accademia di Parma; subito entra nel circuito degli artisti affermati: la consacrazione avviene quando alcune sue opere esposte nella Pinacoteca Pubblica di Parma. Nel 1871 affianca il Dalla Rosa all’Università di Roma nell’insegnamento di Geometria proiettica e descrittiva: gli studi di prospettiva lo portano alla pubblicazione anche di due trattati sull’argomento. Espone intanto a Brera, a Firenze e a Bologna ma anche a Parigi. Sue opere vengono acquistate dalla Real casa e entrano nel patrimonio delle principali gallerie d’arte moderna e musei (Roma, Milano, Torino, Piacenza, Brescia, Trieste, Parma, Agrigento, Palermo…).

Dal 1886 insegna all’Accademia di Belle Arti di Palermo e nel capoluogo siciliano resta per 36 anni, tornando a Parma solo nel 1922.
Conseguentemente molta della sua produzione artistica è conservata ancora oggi in Sicilia e i curatori della mostra sono riusciti ad ottenere da Istituzioni pubbliche e collezionisti siciliani molte delle sue opere migliori che costituiranno per il pubblico una vera scoperta.

La mostra si inserisce a pieno titolo nella riscoperta e valorizzazione dell’Ottocento italiano che varie città stanno compiendo negli ultimi anni.

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