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La Raccolta Sanseverini, custodita dall’Archivio di Stato di Parma, costituita da 417 disegni, databili agli ultimissimi anni del XVIII secolo ed entro il marzo 1806, nasce dal passeggiare a piedi per la città di un nobile frettoloso ed eccitato che ha il desiderio di rappresentare tutto ciò che vede. Il conte Alessandro Sanseverini (1742-1814) attraversa la città e coglie al volo stemmi, resti romani, monumenti del passato, tracce e segni anche minuti depositati dal tempo sulle case e nelle vie, ma anche uomini e donne impegnati nel lavoro, compromessi con la quotidianità, intenti a conversare e scambiarsi insieme saluti e maldicenze con cordiale leggerezza, come in uno straordinario album di fine secolo. Solo che si tratta di due secoli fa. La serie di immagini schizzate frettolosamente, con una certa asprezza grafica e grande vivacità cromatica nella nervosa e talora approssimativa stesura degli inchiostri dal conte colonnello Alessandro Sanseverini è un patrimonio iconografico che forse nessuna città può vantare per quell’epoca, anche perché progettato, costruito e perseguito per volere di uno solo.

I viaggiatori del Grand Tour, le guide che si stampavano sempre più numerose, una ricca produzione di incisioni e di grafiche illustrative, la ripetitività dei quadri degli artisti vengono eleggendo degli scorci fissi per denotare una città, pochi e più volte rifrequentati.

Il conte aveva realizzato la Raccolta per Mederico Moreau de Saint-Mèry (1750-1819), amministratore generale degli Stati di Parma per i Francesi, dal 1802 al gennaio 1806. Nell’Europa che si stava trasformando in impero napoleonico il piccolo ducato era rimasto un’enclave, un’isola dimenticata dal tempo, con un governatore dalla più ampia autorità che gestiva il potere in una illusione di totale autonomia per un duca che aveva dimostrato il massimo di opportunità politica morendo al punto giusto: un attimo prima che Napoleone lo costringesse pubblicamente ad abdicare. Con maggior coraggio il Moreau de Saint-Mèry, piccolo, loquace, tondeggiante, seppe resistere al grande “corso”, allorché questi richiese una violenta e sanguinosa repressione contro i montanari piacentini della Val di Nure che si erano ribellati alla coscrizione obbligatoria. Rifiutò di prestarsi alla carneficina e fu richiamato a Parigi.

Con quella curiosità illuministica e ormai scientifica che lo animava, voleva scrivere su Parma ed il suo fazzoletto di ducato un testo topografico economico statistico e sociale, che mostrava in spazi ristretti tante singolarità e difformità. La sua sete di documentare visivamente la quotidianità e tutti gli aspetti dell’esistente trovarono nel conte Sanseverini la macchina fotografica che mancava e nella Raccolta Sanseverini l’album che Parma, ma che nessun’altra città, aveva mai avuto.

L’esposizione invece è stata organizzata con una ricostruzione dell’incantata fruttifera stagione che dall’insediamento dei Borbone a Parma nel 1748, si irradia, con dilatate onde al richiamo a Parigi del Moreau de Saint-Mèry da parte di Napoleone (1806). I mutamenti istituzionali, gli eventi più significativi, le tracce che hanno lasciato sul vissuto quotidiano, costituiscono il grande affresco nel quale non solo si inserisce l’opera del Sanseverini, ma anche quell’attenzione per il mondo delle campagne, per gli strumenti del lavoro, per la vita dei contadini, degli artigiani, degli operai, dei venditori al minuto che sono anche i protagonisti dei disegni del conte. A questo mondo è sembrato opportuno lasciare un ampio spazio, anche perché per molti costituirà una sorpresa. Il momento finale è l’applicazione di un metodo rivoluzionario, totalmente innovativo, per fotografare le filigrane più significative che si incontrano nella Raccolta Sanseverini.
Richiamare l’attenzione su questa ulteriore conquista della tecnica che permette finalmente un vero studio scientifico delle filigrane e che apre un vasto campo alle ricerche non solo archivistiche, ma anche biblioteconomiche e storico-artistiche.

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