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A dieci anni dalla scomparsa, la Fondazione Cassa di Risparmio di Parma, nella sua sede espositiva di Palazzo Bossi Bocchi, propone un omaggio a Gianfranco Manara (1924 – 1993). L’occasione è offerta dalla donazione da parte della vedova dell’artista alla Fondazione di ben 25 opere che arricchiranno le importanti collezioni permanenti esposte in Palazzo Bossi Bocchi e di cui una decina comporrà il nucleo fondamentale della mostra.

L’esposizione, accompagnata da un catalogo dove l’artista è ricordato da Stefano Fugazza e da altri studiosi del Maestro tra cui Raffaele De Grada, Gianni Cavazzini e Rossana Boscaglia, è composta da una quarantina di opere tra le quali figurano anche quelle donate alla Fondazione Cariplo e altre provenienti da collezioni private.

Manara, nato “sulla riva del Po”, a Casalmaggiore, nel 1924, ha compiuto la sua formazione iniziale a Parma presso l’Istituto d’Arte Paolo Toschi, seguendo le orme dell’amato maestro Renato Vernizzi. A Milano ha svolto il suo appassionato magistero di insegnante alla Scuola degli Artefici dell’Accademia di Brera e ha praticato la pittura e la grafica con mirabile e appartata dedizione. Pittore padano, ha riservato al paesaggio della sua terra una costante affettuosa investigazione, come con uguale trasporto si è dedicato ai ritratti del ristretto ambito familiare, al silenzioso mondo degli oggetti naturali e domestici e al pungente esercizio dell’acquaforte.

Rossana Bossaglia descrive la sua pittura come “comunicativa, piena di brillante seduzione” invitando però a non fermarsi ad un approccio superficiale perché dietro quella coinvolgente gradevolezza vi sono una profonda elaborazione ed una assoluta finezza e la sintesi, del tutto personale, di stimoli, suggestioni, influssi che sembrano affondare le radici meno prossime in certa pittura ottocentesca così come nel Realismo Magico d’inizio Novecento o nel chiarismo.
All’incanto segreto e sognante della pianura intorno al grande fiume, alla dolcezza dei paesaggi sembrano fare da contrappunto i ritratti, forti, a tratti duri, e le incisioni che – scrive De Grada “rappresentano l’aspetto tragico, incombente della vita contemporanea”.

“Certi suoi volti – secondo Rossana Bossaglia – in primo piano, compresi gli autoritratti, hanno una sorta di scultorea durezza e fermezza. Ma nello stesso tempo Manara è capace di rendere il formicolio anonimo della folla, quasi in una ripresa tardo impressionista, o meglio ancora, con un tratteggiare espressionista; una folla minutissima che ci dà il senso di un’animazione senza volto, o si fa interprete di eventi collettivi”.

In Manara sono evidenti la gioia creativa, l’energia, il godimento del colore. Ma “dietro quelle immagini si legge sovente una profonda, disincantata malinconia, persino ai limiti della spietatezza amara”. Manara, conclude Bossaglia, è “un artista che va guardato non solo con diletto ma con emozionata e riflessiva attenzione”.

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