Con il restauro della Foresteria dell’Abbazia Benedettina di Santa Maria della Neve di Torrechiara viene a concludersi un intenso periodo di restauri coordinati e diretti dalla Soprintendenza ai Beni Storici ed Etnoantropologici di Parma e Piacenza; interventi sostenuti – in gran parte – dalla Fondazione Cariparma, che comprendono inoltre il restauro del Belvedere e del Chiostro.

Il Restauro del Belvedere

“Belvedere con sopra volto dipinto sostenuto da 15 colonne e da sei pilastri legati con sei catene di ferro ed avvi il pavimento di quadrelli in piano. All’interno di detto belvedere una ringhiera in ferro battuto… sopra quale vi è una croce di ferro a due traversanti. A meriggio… una scala di cotto […]. In contiguo avvi altra camera […]”.

È la prima descrizione a noi nota del Belvedere e risale al 1814. Si può presumere che non esistesse ancora all’inizio del XVII, periodo a cui è ascrivibile la mappa del territorio parmense lungo il torrente Parma, redatta dall’Ing. Smeraldo Smeraldi.

Ma è certo che esisteva già nel 1766, se Padre Ma­rasini, sotto il nome arcadico di Brescillo Ferinte, parlava della Specola lungo il torrente.

Al Belvedere, posto sul lato est del complesso della abbazia di Torrechiara, a ridosso del muro di cinta, si arriva entrando dall’atrio che accoglie lo scalone, posto tra la sala del Capitolo e la Scuoletta.

La sua architettura ha poco a che vedere con quella del complesso monastico nel suo insieme, se si esclude la struttura settecentesca del nuovo scalone, del suo ingresso dal chiostro e la distribu­zione spaziale in prossimità del Capitolo, che rea­lizzata tra il 1779 e il 1781, serviva anche ad aprire un accesso diretto al Belvedere, prima escluso da una accessibilità e visibilità immediate.

La sua pianta quadrata, con ambulacro su tre lati ed una grande abside quasi a picco sulla cinta muraria con copertura a volte a botte e cupola centrale, sorrette da un sistema articolato di co­lonne alternate a pilastri, – le esterne collegate tra loro da una splendida balaustra in ferro battuto-, le conferiscono un aspetto scenograficamente barocco. Ma, l’alternarsi di lunette cieche, il gran­de arco del fronte principale, su cui sovrasta il tim­pano, i vuoti creati tra le esili colonne, la mancan­za di tensione compositiva, cui prende posto una struttura spaziale più distesa, lineare, sicuramente neoclassica, farebbe supporre ad una sua fonda­zione nella prima metà del Settecento, piuttosto che tardo-seicentesca, come vuole la storiografia locale. Il contrafforte in muratura realizzato verso il torrente, risale forse al XIX secolo e fu costruito per risolvere un fenomeno di dissesto, cui si fa ri­ferimento nel documento del 1814.

Il ciclo pittorico esteso su volte, archi e catino, rappresenta nell’insieme un palinsesto di figure e allegorie senza riferimenti alla iconografia sacra nè alla vita monastica: nel catino, una dama pro­tesa verso la balaustra dipinta, che tiene in mano un ramo d’ulivo; nelle volte a botte dei catini late­rali, due finestre dipinte testimoniano la fusione di architettura e pittura; nella cupola, una figura femminile centrale, satiri e putti, che si affacciano dalla balaustra che gira tutt’intorno.

Il restauro architettonico ha portato in luce le stesse cromie già riscontrabili sulle superfici af­frescate, le finiture antiche dell’architettura e del modellato plastico, presenti sotto alle malte ce­mentizie e alle scialbature più recenti: sulle colon­ne e sui pilastri, sono venute alla luce le tonalità dei colori freddi e contrastati del giallo, del giallo ocra e del rosa, sui capitelli e sui basamenti delle colonne, la finitura a cocciopesto. Le tonalità del giallo, dell’ocra e del rosa, rinvenute sui paramenti esterni, su cornici, timpani e lesene, definiscono, ora, nella loro alternanza gli elementi architetto­nici e il loro ruolo, consentono una lettura omoge­nea dell’impaginato compositivo e ristabiliscono, insieme alle cromie interne degli affreschi, quel dialogo tra pittura e architettura, impossibile pri­ma del restauro. Il restauro pittorico, condotto con estrema cautela per la diffusa concentrazione di resine impiegate nell’ultimo restauro e stucca­ture e riprese pittoriche improprie, ha consentito di ottenere una continuità figurativa e cromatica, resa con la tecnica accurata a tratteggio e in sotto tono, al fine di distinguere le operazioni attuali dal contesto pittorico conservato.